L’Organizzazione mondiale del turismo definisce l’«overtourism», il sovraffollamento turistico, un fenomeno presente quando il numero di visitatori in una destinazione supera la capacità del luogo di gestire tali arrivi in modo sostenibile, compromettendo la qualità della vita dei residenti, l’esperienza dei turisti e l’integrità dell’ambiente e del patrimonio culturale. Ne parliamo con un esperto, Paolo Corvo, bergamasco, docente di sociologia del turismo presso l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo.
Il turismo eccessivo rischia di minare l’identità delle città
L’esperto Paolo Corvo: i centri storici cambiano volto. «Ridotte al minimo le possibilità di alloggio per i giovani». «Inquinamento, rifiuti, danni all’ambiente, al paesaggio». Rimedi? Dislocare le attrazioni, destagionalizzare i flussi.
Lei osserva che oggi non è facile parlare di sovraffollamento turistico, così come, aggiungiamo noi, si parla sempre meno di crisi climatica, addirittura cancellata dai documenti governativi negli Stati Uniti. Da che cosa dipende questa situazione? Quali sono gli interessi in gioco?
«Eh sì, è complicato parlarne perché si guarda solo all’aspetto quantitativo della crescita dei flussi turistici, senza considerare le problematiche che uno sviluppo incontrollato può provocare. È evidente che il turismo rappresenta un settore strategico dell’economia italiana e può determinare ampie entrate nella bilancia commerciale. Ma il sovraffollamento può creare difficoltà alla popolazione locale e nel medio periodo deteriora l’esperienza turistica. Ciò accade anche perché spesso chi gestisce le strutture ricettive ha una dimensione multinazionale, per cui è meno legato al territorio e alla storia della destinazione».
Quali sono le novità che hanno determinato il fenomeno della turisticizzazione?
«Da qualche tempo i centri delle città turistiche sono stati ulteriormente turisticizzati, con un susseguirsi di locali, ristoranti, bar, senza soluzione di continuità. Questo fenomeno di “foodizzazione” (espansione dei locali dedicati al cibo, ndr) rischia di trasformare le destinazioni in parchi giochi per turisti, escludendo gli abitanti del luogo. Sul piano delle strutture ricettive la diffusione degli affitti brevi ha ridotto al minimo le possibilità di trovare un alloggio per i giovani del posto, anche per la crescita esponenziale dei prezzi».
Quali sono gli impatti negativi sull’ambiente?
«Il superamento della capacità di carico di una località turistica comporta grossi danni all’ambiente naturale e al paesaggio. Basti pensare all’inquinamento dell’aria per il traffico, alla cattiva gestione dei rifiuti, ai danni subiti dai monumenti per la cattiva educazione di alcuni turisti. Anche i corsi d’acqua sono spesso vittime di una fruizione priva di attenzione e rispetto».
E a livello sociale?
«Sul piano sociale le città rischiano di perdere la loro identità e i luoghi tradizionali di socializzazione. La difficoltà di trovare alloggio comporta un abbandono dei centri storici da parte degli abitanti. In questo senso il caso di Venezia è emblematico. Occorre un piano strategico a livello amministrativo e politico che prefiguri il futuro delle destinazioni turistiche. Vogliamo davvero che le città italiane diventino tante Disneyland?».
Quali sono le differenze rispetto al turismo di massa sviluppatosi a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso?
«A livello quantitativo vi sono molte similitudini, ma vi è una differenza sostanziale: il turista contemporaneo fruisce della vacanza in modo individualistico, generalmente è più informato che in passato ed ha molte esigenze e aspettative. C’è un desiderio di felicità che si vuole realizzare, ma si scontra talvolta con la realtà dei fatti. Poi c’è chi si accontenta di un selfie davanti a un museo o a un’opera d’arte. E fa code interminabili per raggiungere l’obiettivo. C’è una varietà di bisogni che gli operatori turistici faticano a soddisfare. Non è facile e immediato personalizzare l’offerta di servizi. Ci vuole molta professionalità».
Oggi sono diffuse anche pratiche di turismo sostenibile alternative al modello dominante.
«Per fortuna ci sono esempi nel mondo che dimostrano come sia fattibile un modo diverso e alternativo di vivere la vacanza. Si tratta per ora di esperienze vissute da una minoranza di turisti, ma è significativo che queste pratiche si stiano diffondendo tra i giovani. Ridare significato al viaggio significa valorizzare le relazioni con la popolazione locale, con il paesaggio e l’ambiente naturale, in un’ottica di mobilità lenta e di turismo sostenibile e rispettoso. Ciò avviene in alcuni contesti particolari del Sudamerica, dell’Asia e dell’Africa, ma si possono sviluppare modelli significativi anche nel nostro Paese».
I rimedi? Com’è possibile gestire i flussi turistici senza compromettere il diritto alla mobilità?
«Occorre trovare un equilibrio tra il diritto universale alla mobilità e al turismo e la tutela della biodiversità ambientale, culturale e sociale. Spetta alla politica trovare soluzioni adeguate, debitamente sollecitata da movimenti e associazioni. Occorre evitare che il turismo sostenibile sia praticato solo dalle élites, per cui la soluzione dei ticket d’ingresso non è sempre praticabile. Maggiori effetti possono avere la dislocazione delle attrazioni turistiche e la destagionalizzazione dei flussi turistici. In questo contesto l’utilizzo dell’intelligenza artificiale può consentire una più efficace programmazione delle presenze, che rispettino la carrying capacity (capacità portante dell’ambiente, ndr) nelle destinazioni. Senza dimenticare l’importanza dell’educazione al viaggio, che va implementata sin dalle scuole primarie».
Nell’era della crisi climatica il turismo è insostenibile non solo nei luoghi troppo affollati ma anche per le ondate di calore: Roma, nel luglio 2023, era stata definita «città infernale».
«Certamente il cambiamento climatico sta modificando i comportamenti e le scelte dei turisti. Il caldo sempre più umido e afoso delle nostre città durante l’estate comporterà nel medio periodo una diminuzione delle presenze turistiche. Le località tipiche delle vacanze invernali stanno cercando di ridefinire le proprie strutture in funzione di nuovi servizi da offrire ai turisti. C’è comunque ancora poca consapevolezza di questi fenomeni e si rischia di arrivare impreparati al cambiamento. Bisogna tenere alta l’attenzione, anche perché vi sono realtà che sottovalutano o addirittura negano il problema. Ne godranno i Paesi Nordici, che stanno già pensando in termini di accoglienza turistica nel medio periodo, quando il loro clima sarà più temperato».
© RIPRODUZIONE RISERVATA