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Cop30: si poteva fare di più. Il think tank «Ecco» ci aiuta a fare il punto

Nel testo finale nessun accenno ai combustibili fossili. Il loro abbandono va avanti comunque su base volontaria da parte dei Paesi. Passi avanti sulla finanza climatica, ma debole l’impegno per la tutela delle foreste.

La Cop30 è finita da due settimane. Quella che è stata fin dal principio definita come «la Cop della verità» ne ha generata una piuttosto scomoda: l’ennesima occasione mancata per i negoziati climatici. Uno dei punti più deludenti è quello sui combustibili fossili, che sono spariti dal documento finale di Cop30, la Mutirão Decision. Ma è andato davvero tutto male? Abbiamo chiesto un bilancio a Valeria Zanini, analista in Diplomazia climatica di Ecco, il think tank italiano per il clima, che si è seduta al tavolo dei negoziati per tutta la durata di Cop30. «La Conferenza aveva due compiti difficili: intesa come Cop dell’implementazione, cercava di mettere a terra tutto ciò che si era finora affrontato. In secondo luogo, affrontava la chiusura del terzo ciclo degli Ndc (i contributi determinati a livello nazionale, ndr) – commenta Zanini–. L’elefante nella stanza erano i combustibili fossili da cui sappiamo che deriva il 75% delle emissioni globali». Le obiezioni sollevate sul fatto che il termine non sia stato inserito nei negoziati sono corrette, precisa l’analista, ma tiene a sottolineare che «il compito era davvero difficile: il tema non era solo menzionarli, ma individuare una roadmap che permettesse di aprire un dialogo su come uscire dalla produzione dei combustibili fossili. La Presidenza è riuscita comunque a creare uno spazio in cui gli Stati si sono confrontati. Questo pacchetto finale ribadisce il risultato di Dubai, anche se nel testo non si menzionano formalmente i combustibili fossili». Se si vuole vedere il bicchiere mezzo pieno, possiamo dire che la «transitioning away» (abbandono graduale) dai combustibili fossili va avanti su base volontaria e fuori dal circuito dell’Onu. Durante le consultazioni è stata lanciata dalla Colombia, in collaborazione con i Paesi Bassi, la prima conferenza internazionale per l’uscita dai combustibili fossili, che sarà il prossimo aprile (28-29) a Santa Marta nello stato colombiano, con l’obiettivo di creare strategie condivise tra gli oltre 80 paesi firmatari della roadmap per l’abbandono dei combustibili fossili.

Adattamento, obiettivo sulla finanza

Senza soldi, gli obiettivi climatici restano buone intenzioni. Si è discusso a tal proposito della finanza per l’adattamento al cambiamento climatico. «Alla Cop26 di Glasgow, si era deciso di raddoppiare entro il 2025 la finanza da 20 a 40 miliardi di dollari –, spiega Valeria Zanini –. Oggi abbiamo raggiunto circa 26 miliardi. Siamo ancora molto lontani dal colmare il gap». Lo testimonia anche l’ultimo report dell’Unep sull’adattamento, che stima i bisogni dei Paesi in via di sviluppo tra 310 e 360 miliardi di dollari l’anno. «A Belém i Paesi in via di sviluppo chiedevano di triplicare i fondi al 2030, arrivando a 120 miliardi – prosegue Zanini –. L’accordo finale prevede sì che vengano triplicati, ma al 2035 e senza specificare chiaramente la base di partenza. Questo lascia un margine di interpretazione, ma nonostante questa vaghezza si tratta comunque di un segnale politico importante». Soprattutto in un ambito in cui è difficile attirare finanziamenti privati: «un conto è investire in un parco solare, che ha un notevole ritorno economico –, specifica Zanini – diverso è farlo in un sistema di monitoraggio alluvioni, per esempio». Per questo c’è bisogno di un massiccio intervento della finanza pubblica. Un altro sforzo gigante è stato definire 59 indicatori – partendo da oltre 10.000 – globali per misurare i passi avanti sull’adattamento. Inoltre misurare l’impatto delle misure di adattamento è molto più complesso che per quelle di mitigazione, che si calcolano misurando le emissioni di gas climalteranti».

Europa frammentata

«L’Europa non ha avuto il ruolo catalitico e di ponte che l’ha sempre contraddistinta nelle precedenti Cop – riferisce Zanini – e non essendo riuscita ad allinearsi internamente ha faticato a contrastare il gruppo Arabo e i dei Brics, che frenavano sull’azione climatica. La posizione dell’Ue era più fragile, perché si trova in un momento di scarso allineamento politico, divisa da sovranismi internazionali. Per recuperare il ruolo compatto, ambizione e autorevolezza è necessario ritrovare l’integrazione politica», ribadisce Zanini.

Il fondo per la conservazione delle foreste tropicali

La Cop30 si è svolta in un luogo simbolico: Belém, nel cuore della foresta amazzonica. La Presidenza brasiliana nelle vesti di André Corrêa do Lago voleva sottilineare lo sfruttamento delle risorse naturali e la deforestazione per lanciare un programma di protezione delle foreste. Il risultato non è stato dei migliori e si configura fuori dal processo Onu. Al vertice dei leader della Cop30, il presidente brasiliano Lula ha lanciato il «Fondo per la conservazione delle foreste tropicali» (Tropical forest forever facility, TFFF) i cui profitti, che al momento sono 9 miliardi, andranno donati agli Stati per la protezione delle foreste. Ci si aspettava un linguaggio più forte riguardo alla deforestazione nei testi negoziali, e non una decisione esterna. Per questo alla fine della Cop30 la Presidenza ha lanciato una roadmap per invertire il processo di deforestazione: un processo embrionale i cui risultati verranno presentati alla Cop31 dell’anno prossimo che sarà in Turchia, con co-presidenza australiana.

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