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Biodiversità, la tutela con 200 miliardi all’anno entro il 2030

L’intesa sul fondo raggiunta alla Cop 16 bis di Roma. Risorse dai Paesi ricchi ai popoli indigeni e alle comunità. Obiettivo la protezione del 30% delle terre e dei mari.

«Abbiamo portato a termine l’adozione del primo piano mondiale per finanziare la conservazione della vita sulla Terra»: è stata questa la dichiarazione della ex ministra colombiana dell’Ambiente e presidente della Cop 16 sulla biodiversità, Susana Muhamad, dopo l’accordo tra i 150 Paesi partecipanti.

La 16ma Conferenza dell’Onu sulla biodiversità si è conclusa a Roma dal 25 al 27 febbraio alla sede della Fao, integrazione dell’assise iniziata a Cali lo scorso ottobre e sospesa il 2 novembre. Sono state necessarie ancora lunghe ed estenuanti sedute concentrate nei tre giorni per arrivare finalmente a un’intesa per cercare di proteggere la biodiversità planetaria. Gli obiettivi da raggiungere erano gli stessi di Cali, ossia creare un fondo di 200 miliardi di dollari all’anno, fino al 2030, dai Paesi più ricchi ai popoli indigeni e alle comunità locali per bloccare la perdita di biodiversità, proteggere gli ecosistemi e tutelare le genti che, da sempre, contribuiscono a salvaguardarli.

Per la prima volta nella storia della Convenzione sulla diversità biologica è stata concordata la creazione di uno specifico meccanismo finanziario per sostenere l’attuazione degli obiettivi adottati, tra i quali quello inserito nel Quadro globale per la biodiversità scaturito della storica Cop 15 di Montreal del 2022, ossia proteggere il 30% della superficie terrestre e marina, rispetto agli attuali 17% della terra e 8% dei mari, entro il 2030. Oggi ben il 75% dell’ambiente terrestre risulta gravemente alterato dalle attività umane. La situazione della biodiversità è grave a livello globale: lo conferma la Lista Rossa della Iucn, Unione internazionale per la conservazione della natura, che evidenzia oltre 150mila specie minacciate, di cui oltre 42mila sono a rischio d’estinzione.

Molti osservatori sostengono come non ci sia ancora una presa di coscienza dei problemi ambientali che travagliano la Terra, manchi una cultura della natura, non vengano approfonditi i rapporti tra biodiversità, funzionamento degli ecosistemi e benessere umano. Inoltre, ci sono gruppi di pressione che, per difendere l’attuale, distruttivo modello di sviluppo, ostacolano le azioni per la salvaguardia della natura e del benessere di tutti. La maggior parte dei Paesi ricchi si trova nelle aree temperate o temperate fredde, dove sono stati alterati i sistemi naturali con l’agricoltura intensiva, la massiccia industrializzazione e l’urbanizzazione senza freni. I Paesi meno ricchi sono in aree intertropicali, dove la biodiversità è al massimo livello ma le ricchezze naturali sono state vittime della predazione del Nord del mondo anche dopo l’era coloniale. Solo ora si sta, forse, prendendo coscienza dei danni provocati dalla perdita di biodiversità sul funzionamento degli ecosistemi planetari, essenziali per la vita. Un esempio viene dalle grandi foreste tropicali che, assorbendo CO2 in eccesso e producendo ossigeno, sono i polmoni verdi che respirano per tutto il pianeta. Si stima che almeno la metà dell’ossigeno presente nell’atmosfera sia prodotto dalla fotosintesi del fitoplancton, mentre l’altra metà viene dalle piante sulle terre emerse, il 16% dalla sola foresta amazzonica.

I punti dell’accordo

Le trattative alla Cop 16 bis hanno riguardato finanza e monitoraggio per verificare il raggiungimento, attraverso risorse pubbliche e private e banche multilaterali di sviluppo, dei 23 obiettivi stabiliti dalla Cop 15 di Montreal del 2022. Tali risorse sono quantificate in almeno 200 miliardi di dollari all’anno entro il 2030 (obiettivo 19 del Quadro globale), di cui 30 miliardi forniti dai Paesi ricchi ai Paesi in via di sviluppo. I dati forniti di recente dall’Ocse, Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico, non sono positivi, perché il flusso finanziario è di circa 15 miliardi di dollari all’anno, una cifra ben lontana da quanto previsto. «È sperabile che i Paesi sviluppati procedano a onorare i propri impegni a favore dei Paesi in via di sviluppo, mobilitando 20 miliardi di dollari entro il 2025 e i successivi entro il 2030», ha commentato Efraim Gomez, direttore per le Politiche globali del Wwf Internazionale.

Fondo Cali: 50 per cento alle popolazioni indigene

Alla Cop 16 bis di Roma è stato creato il Fondo Cali, istituito in Colombia ma non ancora approvato. Sarà gestito dall’Onu e prevede una compensazione del 50% per le popolazioni indigene impegnate a sostenere le azioni locali per la biodiversità. È stato pure previsto che le risorse economiche non statali arriveranno dalle aziende del settore farmaceutico, cosmetico, biotecnologico agricolo e industriale e dell’intelligenza artificiale, che contribuiranno al fondo con l’1% dei loro profitti o lo 0,1% dei loro ricavi. È stato anche deciso che alle prossime Cop vi saranno delle «revisioni collettive» dei progressi del Quadro globale, basate principalmente sui rapporti nazionali e su un rapporto globale dei progressi collettivi. Il settore privato, poi, è stato sollecitato a sviluppare e condividere, su base volontaria, impegni che contribuiscano a raggiungere gli obiettivi dei Piani nazionali per la biodiversità ed eseguire interventi per l’implementazione del Quadro globale. La crisi degli ecosistemi, purtroppo, non rallenta: è prevista un’accelerazione se continueremo ancora una volta a volgere l’attenzione da un’altra parte, dimostrando poco interesse e non assumendo come prioritaria la responsabilità della salvaguardia delle specie che compongono gli ecosistemi, compresa la nostra.

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