93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Fare figli non è mai solo una questione di soldi (anche quando è una questione di soldi)

Articolo. «Non è giusto fare figli se non si ha stabilità economica», recita una semplice frase di buonsenso. Eppure i figli che facciamo, o che non facciamo, non sono il frutto di semplici calcoli di economia domestica, ma riflettono la nostra visione del mondo e il nostro sistema di valori

Lettura 5 min.

Una decina di anni fa ero per lavoro al Salone del Mobile, e la moglie del manager di non ricordo quale azienda mi raccontò la sua vita. Era un’elegantissima signora sulla quarantina, con un’avviata agenzia immobiliare in una cittadina veneta. Per ragioni di lavoro viveva separata dal marito, che abitava a Milano, e aveva un unico desiderio inesaudito: comprarsi un cane. «Ma, sai, starebbe tutto il giorno solo, e poi chiudo tardi l’agenzia e non mi fiderei a uscire sola con il cane la sera».

Vi chiederete a che punto della storia si parli di figli (mai) e se questo sia l’ennesima querelle fra gente che vuole figli e gente che vuole cani (no, vi rassicuro). Racconto questo aneddoto solo perché quella signora – che mi sembrava così impossibilitata a godersi la vita, malgrado non avesse nessun problema economico – è diventata per me il monito dei rimpianti che non volevo avere. L’anno dopo ero incinta, potendo contare su un reddito sicuramente di molto inferiore al suo.

Noi e le bisnonne

Parlare di soldi, quando si parla di figli, è noiosissimo. Potrei mettermi a fare un elenco delle spese che deve sostenere una famiglia, e voi potreste rispondermi: «Eh, ma le nostre bisnonne facevano figli anche se erano povere, senza contare le guerre, le carestie, le epidemie. Oggi siamo solo più egoisti e viziati». Al che potrei ribattere che, contrariamente a noi, le bisnonne non avevano molta scelta e che un terzo dei bambini moriva prima di compiere i 5 anni, e tutto sommato mi sembra che ce la caviamo meglio oggi, ma questione di gusti. Poi dovremmo affrontare il grande dilemma di questo inizio di millennio: siamo egoisti perché i figli non li facciamo, o siamo egoisti se li facciamo senza avere raggiunto l’agognata stabilità economica?

La stabilità economica

Parlo di stabilità economica perché la sento spesso citare, sui social e nella vita vera, come un fatto oggettivo. «Non è giusto fare figli se non si ha stabilità economica»: una frase apparentemente di buonsenso, condivisibile, destinata a mettere in guardia giovani irresponsabili che potrebbero prendere sottogamba l’impegno di una famiglia. Invece no: è un monito rivolto anche a chi – pur lavorando a tempo pieno e avendo di molto passato la maggiore età – ha comunque qualche preoccupazione di soldi, un futuro incerto e deve stare attento a come spende (cioè il 90% della popolazione italiana in età fertile, così a occhio e croce).

Ho sentito una coppia di dipendenti statali accusata di mettere al mondo un figlio in ristrettezze economiche, perché con i loro bassi stipendi e un mutuo da pagare avrebbero dovuto fare troppi sacrifici per permettersi un bambino. Stabilità economica significa non solo contratto a tempo indeterminato per entrambi i genitori (per quanto ambito, non è un fattore che mette automaticamente al riparo dal rischio di povertà), ma anche un certo reddito, case di proprietà, una qualche forma di rendita o sostegno familiare, auto, viaggi, fogli di giornale.

«Non è giusto fare figli se non si ha stabilità economica», in ultima istanza, significa: fai figli solo se sei ricco abbastanza. Solo se sarai in grado di dare a tuo figlio tutto ciò che lui potrà desiderare. Significa, se esaminiamo più da vicino il concetto, considerare la vita indegna di essere vissuta in assenza di beni materiali. Non stiamo parlando di cibo in tavola e un tetto sopra la testa, ma di metri quadri a disposizione per figlio (non vorrai farli dormire nella stessa cameretta?), vacanze, scuole private, corsi di inglese e di equitazione, sport a pagamento, università all’estero, la possibilità di pagare l’anticipo del mutuo (se non la casa stessa) a tutti i figli. Vale la pena mettere al mondo un bambino se non gli si può assicurare tutto questo? È un concetto più filosofico che di economica domestica. La risposta che diamo –che siamo genitori oppure no - definisce il nostro sistema di valori: che cosa è veramente importante per noi? Per cosa lavoriamo? Quali sono le gioie della nostra vita? Quali gli ideali che ci muovono e che vorremmo trasmettere? Quale la nostra visione del mondo?

Le irresponsabili

Io e la maggior parte delle mie amiche abbiamo fatto figli senza avere stabilità economica. Con ciò intendo che avremmo fatto incredibilmente fatica a mantenerli da sole, e ci saremmo dovute probabilmente rivolgere alla Caritas se ci fossimo separate dai loro padri o se non avessimo avuto il supporto delle nostre famiglie. E non perché fossimo disoccupate, incapaci di mantenerci un lavoro, o giovani liceali.

Una delle prime a fare figli del nostro gruppo fu, a 30 anni suonati, Emanuela: era dottoranda e lavorava da tempo in un prestigioso istituto di ricerca, per cui non era previsto il congedo di maternità. Per quasi un anno il suo reddito si azzerò, e dovette farsi mantenere dal marito, con suo – di lei – immenso fastidio. Sarebbe stato più responsabile aspettare i 40 anni e una auspicata stabilizzazione contrattuale? Forse. Giudicare le vite e le scelte altrui è sempre una pessima idea, ma diciamo pure che per molte donne la scelta è fra il rischio economico e quello sanitario legato all’infertilità. Cosa è più responsabile scegliere? Molti risponderebbero: non fare proprio figli, se le condizioni non lo permettono. Ed è esattamente quello che accade: siamo sempre più responsabili, e figli se ne fanno sempre di meno.

Diritti e privilegi

Nell’autobiografia di Margaret Thatcher (fuori commercio, ma è una lettura che vale la pena, si può richiedere col prestito interbibliotecario) c’è un passaggio che mi sembra illuminante: quand’era al governo i laburisti la accusarono di avere tolto il latte a scuola ai bambini poveri. Non ricordo precisamente la cronaca dei fatti, ma persino la Lady di Ferro considerava queste accuse infamanti e ci teneva a smentirle per i posteri. Oggi non credo venga più distribuito latte gratis nelle scuole del Regno Unito, indipendentemente dal colore del governo, e nessuno lo trova sconveniente. Anche in Italia, negli anni ’70, in molti comuni italiani, la mensa scolastica era un servizio gratuito. Ora è considerato scontato che sia a pagamento, e se i genitori non pagano a molti sembra accettabile che i bambini insolventi rimangano digiuni.

Ci stiamo abituando a considerare un privilegio cose che per decenni sono state gratuite: la sanità, ad esempio. Questo non è un problema che riguarda solo i genitori, o i bambini. Non è un problema di chi fa i figli e poi vuole che sia lo Stato a mantenerli. È una questione collettiva: stiamo dicendo che solo i più ricchi possono permettersi di accedere ad esami diagnostici in tempi utili, che solo i più ricchi possono abitare nelle città, che solo i più ricchi possono permettersi di comprare cibo sano, che solo i più ricchi possono accedere a certi consumi culturali (il prezzo medio del biglietto di un concerto è aumentato del 400% dagli anni ’80 a oggi), e sì: che solo i più ricchi possono fare figli.

Ciò che mi amareggia è la quantità di gente “non ricca” che trova giusto questo sistema di cose: stai fuori casa 12 ore al giorno fra mezzi pubblici indecenti e un impiego malpagato? Ringrazia di avere un lavoro. Il tuo stipendio è basso? Evidentemente vali poco. Hai mal di denti? Paga il dentista con i tuoi risparmi oppure prendi un brufen e non lamentarti. La spesa è sempre più cara? Colpa tua che non sai cercare le offerte del discount. Non puoi permetterti di uscire? Stai a casa a guardare la tv (con la pubblicità, perché l’abbonamento premium costa troppo), e sicuramente evita di fare figli, perché col tuo tenore di vita sarebbe una scelta irresponsabile. Oppure falli, ma non osare lamentarti, la tua bisnonna stava peggio di te e ne ha fatti 10.

I figli “mancati” non sono che uno dei sintomi di questa visione della vita, frutto dell’abbruttimento collettivo in cui siamo immersi. Che sia un modo di intendere la vita realista o cinico lo lascio decidere a voi, a me sembra che per le cose belle della vita sia giusto lottare, e che insieme potremmo mettere in discussione ciò che ci viene descritto come inevitabile, a costo di fare la parte degli irresponsabili.

Approfondimenti