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Una perla tira l’altra. Nel Palazzo del Podestà, racconti di viaggi e «magnifici ornamenti»

Articolo. Domani 7 marzo, alle 17.30, Maria Giuseppina Muzzarelli torna al Museo delle Storie per presentare il volume scritto con Luca Molà e Giorgio Riello. Un libro tutto dedicato alle perle e alla loro storia – un vezzo che ha attraversato secoli e regioni del mondo e non è mai stato solo femminile

Lettura 4 min.
Un dettaglio dalla copertina del libro «Tutte le perle del mondo. Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti»

La Venere di Botticelli è una “perla” perfetta che nasce da una conchiglia marina, ma quante perle esibite anche nei funerali più chic… Perle, perle dappertutto, di diverse dimensioni e sfumature, addosso a Eleonora di Toledo ritratta dal Bronzino: al collo, agli orecchi, sulla rete che copre le spalle, sulla cuffia, sulla cintura. «Questo vezzo di perle... Io voglio che il duca me lo comperi...perché io ne ho grandissima voglia»: nemmeno lo scultore di corte Benvenuto Cellini era riuscito a dissuadere Eleonora dall’acquisto di un filo di grosse perle proposte da un mercante, che alla fine riuscì a fare suo prendendo il marito Cosimo de’ Medici per sfinimento.

Dalla Duchessa di Firenze a Damiano dei Måneskin, passando per Santa Caterina e Giovan Battista Moroni: le perle attraversano tutta la nostra storia e il nostro immaginario, e non solo come emblema del lusso. Il 7 marzo alle 17.30 al Palazzo del Podestà Maria Giuseppina Muzzarelli torna al Museo delle Storie per presentare il volume scritto con Luca Molà e Giorgio Riello. «Tutte le perle del mondo. Storie di viaggi, scambi e magnifici ornamenti» (Ed. Il Mulino) ha il coraggio di affrontare, anche con un corredo iconografico ricco di più di 200 immagini, uno degli “oggetti” culturalmente più densi della nostra storia.

Di quelle piccole, meravigliose, adorate sfere bianche e luminescenti abbiamo chiesto alla professoressa Muzzarelli di svelarci in anticipo qualche segreto.

BM: Come si riesce nell’impresa di inseguire la storia e le storie di perle dall’antichità fino al Seicento e anche oltre?

MM: È davvero un viaggio nello spazio, nel tempo, in diversi ambienti culturali e anche nelle differenti parti del corpo, perché abbiamo le perle in testa, alle orecchie, al collo, sulle maniche, sugli abiti… Il libro segue la perla come oggetto vivo, con uno splendore e una molteplicità di significati che vanno da quello della vita alla morte, dalla castità al matrimonio. La ricchezza dei significati delle perle collega Oriente e Occidente, donne e uomini. Oltre ad essere belle, le perle venivano utilizzate anche in farmacopea, e poi ci sono le perline piccole piccole, che servivano per i ricami: centinaia di perle per ornare una manica.

BM: Che cosa ci dicono le perle delle donne che le indossano?

MM: Ne incontriamo diverse nell’Accademia Carrara di Bergamo. La «Lucina Brembati» di Lorenzo Lotto sfoggia perle in testa, attorno al collo, sulla collana. Curiosamente non porta gli orecchini, per i quali nel Cinquecento esplode una vera passione dopo secoli in cui le donne non li avevano potuti portare. Li indossano Galla Placidia e le donne dell’antichità fino al VI secolo e poi più nulla fino al XVI secolo, perché la cultura cristiana era contraria ad ogni modifica del corpo che Dio ci ha donato, tanto più se si trattava di bucare il lobo dell’orecchio per appendervi una perla, che il mondo cristiano definiva “difetto della conchiglia”. E poi ci sono le perle addosso ai bambini, come la celebre «Bambina di Casa Redetti» di Giovan Battista Moroni. In questo caso, il filo di perle intorno al collo è il simbolo della futura sposa. Del resto, ritratti come questi erano spesso inviati al futuro partner per fargli conoscere la fanciulla e prendere accordi che preparassero la strada al matrimonio. Inoltre, le leggi suntuarie vietavano di indossare perle e pietre preziose, consentite solo alle neospose come simbolo di passaggio di status e una sorta di premio a queste donne che poi faranno tanti figli (e spesso moriranno di parto). Ma in Accademia Carrara c’è anche una bellissima «Madonna del latte» di Andrea Previtali con un delicato cappuccio tutto intessuto di perle, così ben rotonde e messe in luce da richiamare senza dubbio il capezzolo che la Vergine porge al Bambino, con un evidente riferimento alla vita.

BM: Dunque anche sante e Madonne non rinunciano alle perle?

MM: Anch’esse si prestano ad essere ornate di perle, in riferimento al significato di purezza, castità, virtù, luminosità, ma soprattutto perché simbolo di vita. La Vergine o sante come Caterina d’Alessandria dovevano essere le più ammirevoli possibili, per comunicare a chi le guardava il loro altissimo valore.

BM: La storia delle perle è solo femminile?

MM: Damiano dei Måneskin se ne va in giro con le perle al collo pensando di essere trasgressivo. Peccato che già nel Seicento molte figure maschili, soprattutto di ambiente francese e inglese, appaiono riccamente ornate di fili e fili di perle. Per non parlare dell’uso maschile di portare la perla al lobo sinistro. Ma è incredibile come ciò avvenga contemporaneamente in ambienti lontanissimi, che ovviamente non potevano comunicare tra loro: c’è l’imperatore indiano Shah Jahan che, oltre a far erigere il Taj Mahal per la morte dell’amata moglie, per un voto di grazia ricevuta decide di forarsi il lobo per portare un orecchino, lanciando una vera e propria moda tra gli uomini di corte. Ignorava, tuttavia, che la stessa moda stava spopolando anche in Francia e in Inghilterra, come documentano i fili e fili di perle sfoggiati nei loro ritratti dal duca di Buckingham o dal conte di Monmouth.

BM: Ma anche le perle hanno un rovescio della medaglia…

MM: C’è il capitolo del costo umano, della fatica e del rischio cui andavano incontro i pescatori di perle, costretti a sfidare persino gli squali, e quello del costo ambientale, se pensiamo che già alla fine del Trecento arrivavano a Venezia dalla sola Siria perle per 60.000 ducati all’anno. Dopo la scoperta del Nuovo Mondo, al largo del Venezuela si individua un’area perlifera ricchissima, dando il via a uno sfruttamento intensivo da parte di spagnoli e portoghesi che arriva praticamente ad azzerare la capacità produttiva dell’area, coinvolgendo nella pesca tutti gli abitanti della zona e poi delle Bahamas fino a cooptare persino gli schiavi neri dell’Africa. In una trentina d’anni, fra il 1515 e il 1542 circa, arrivano a Siviglia dall’America oltre 11 quintali di perle.

BM: La fortuna delle perle non è mai venuta meno?

MM: Le perle hanno continuato a circolare in grande quantità almeno fino a tutto il Seicento ma arriva anche all’Ottocento. Basti pensare alla regina Margherita di Savoia, soprannominata la «regina delle perle», o a donna Franca Florio ritratta da Boldini con il suo lunghissimo filo di perle, o ancora a Coco Chanel che le adorava, le indossava sempre e ne fece quasi un logo. Si sono inabissate solo tra gli anni Sessanta e Ottanta del Novecento, per poi tornare alla ribalta anche tra i giovani, complici anche influencer come Chiara Ferragni. E anche la loro simbologia non è mai tramontata: non è un caso che al funerale della regina Elisabetta le donne della famiglia reale, a cominciare da Kate Middleton, indossassero come unico gioiello le perle che, come già accennato, sono legate alla vita ma anche alla morte.

Informazioni

La presentazione del volume si terrà domani 7 marzo alle 17.30 nel Palazzo del Podestà in Piazza Vecchia. L’ingresso è gratuito con prenotazione obbligatoria, info su www.museodellestorie.bergamo.it.

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