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La «Pastorale», il suono antico del Natale nella terra orobica

Articolo. Il panorama sonoro che il Natale riesce a regalarci è vastissimo. Anche la terra bergamasca conserva importanti testimonianze, come le melodie cullanti delle «Pastorali»

Lettura 3 min.
Un suonatore di baghèt sotto la neve a Clusone (Foto di Matteo Zanga)

Siamo ormai immersi nel clima natalizio: ovunque si respira aria di festa, ogni angolo della città e dei paesi risplende di luci e di addobbi colorati e dalle vetrine dei negozi risuonano le immancabili canzoni cantate da Michael Bublè, classica colonna sonora degli ultimi regali. Il Natale, lo sappiamo, fa riaffiorare in noi alcuni ricordi che fanno parte della nostra storia e della nostra cultura: immagini visive (i quadri, gli affreschi, il presepe), simboli (Babbo Natale, Santa Lucia, Gesù Bambino, la Befana, I Re Magi), gastronomia di ogni tipo – diversa di regione in regione, di provincia in provincia – ma anche melodie e canti della tradizione.

La storia sonora orobica conserva importanti testimonianze, simbolo di un passato musicale vivo nei nostri antenati. Uno di questi aspetti è quello delle «Pastorali», melodie altalenanti e cullanti che venivano cantate o suonate nel periodo dell’Avvento e delle festività: l’origine di questo genere affonda le proprie radici nel lontano Quattro-Cinquecento rievocando i suoni e la vita agreste, dei pastori, per l’appunto. È dal Seicento – Settecento che questo genere viene sempre più associato al mondo natalizio, ispirandosi all’Annunciazione della nascita di Gesù ai pastori. Da quel momento, ogni tradizione ha fatto propria la «Pastorale», e anche la terra bergamasca non fu da meno: primo ad appropriarsene fu l’organo, che accompagnava la liturgia per tutte le festività. Al di fuori delle chiese, anche il canto popolare, insieme agli strumenti della tradizione popolare – come il baghèt e le campane –, ebbe un ruolo importante nel trasmettere il sentimento di festa, coinvolgendo tutta la comunità in un grande momento di gioia come quello del Natale.

Dall’attesa alla gioia della nascita

L’organo, strumento prediletto della liturgia, diventa simbolo di vita spirituale: è attraverso il suo suono che, infatti, i fedeli si ritrovano a condividere le grandi festività cattoliche. Durante il periodo di Avvento, la «Pastorale» fa il suo ingresso durante le celebrazioni, sottolineando la viva attesa della nascita di Gesù. La «Pastorale» per organo, rispetto a quella vocale, presenta elementi tipici riconducibili al mondo popolare delle cornamuse: una o più note nel basso tenute dall’inizio alla fine del brano, con una melodia dolce e spesso ripetuta con piccole variazioni (cambiando anche modo, dal maggiore al minore), per poi accelerare la velocità nelle pagine finali, quasi “dipingendo” musicalmente l’arrivo finale dei pastori davanti al Bambino.

Nell’Ottocento, con l’avvento delle grandi famiglie organarie a Bergamo (i Bossi e, soprattutto, i Serassi), la «Pastorale» si arricchisce di nuove sonorità legate alla variegata combinazione di registri, sfruttati a pieno da autori come Padre Davide da Bergamo, Andrea De Giorgi o Vincenzo Petrali.

Anche il giovanissimo Gaetano Donizetti, all’epoca appena quindicenne, approdò alla composizione nel 1813 con una «Pastorale» per organo (conservata al Museo Donizettiano di Bergamo): una piccola e semplice composizione che testimonia il forte amore del compositore per la propria tradizione musicale. Nel Novecento furono poi diversi i compositori che affrontarono questo genere, come Giuseppe Pedemonti, Daniele Maffeis, Luciano Benigni, Alessandro Esposito, Alessandro Poli.

La «Pastorale» nel canto popolare orobico

Il canto popolare, in terra bergamasca, ha rappresentato e ancora rappresenta l’anima di un popolo dalle mille espressioni e mille sfaccettature che, pur nella piccola realtà provinciale, ha saputo dare vita ad emozioni per tutte le occasioni e tempi dell’anno. Il Natale diventa così protagonista di molti brani del repertorio popolare: la melodia della «Pastorale» si “diffonde” anche attraverso il testo che diventa così portatore di espressione della cultura locale.

Il territorio della Valle Seriana è la culla ideale per la diffusione del canto popolare a tema natalizio, in particolare il territorio della Val Gandino, a partire dal brano «Canta canta, bèla fiùra / l’è nassìt ol nòs Signùr» (traduzione: «Canta canta, bel fiore / è nato Nostro Signore»), testimoniato nel territorio negli anni Settanta e riscoperto dagli etnomusicologi Mario Rondi e Marino Anesa. A tal proposito ringrazio, per avermelo segnalato, il buon Elio, membro del gruppo di studio e di canto popolare La.P.I.S.

Sempre sul territorio seriano – questa volta a Casnigo – la tradizione della «Pastorale» si intreccia con quella del baghèt, grazie alle conoscenze e al repertorio trasmesso da Giacomo Ruggeri e dai suoi conoscenti: una di loro fu Caterina Zilioli, nipote di suonatori di baghèt, che ricorda una lunga «Pastorella» dal titolo «E la và dinanzi un toco…» che veniva accompagnata dal suono della cornamusa bergamasca durante i rigidi mesi invernali. Il testo, profondamente natalizio, rievoca l’attesa, da parte della Vergine e di Giuseppe, della nascita di Gesù attraverso un continuo avvicinamento alla capanna dove il Bambino vedrà la luce.

Il baghèt, protagonista del Natale bergamasco

Principe degli strumenti popolari del territorio orobico, il baghèt – la cornamusa bergamasca – ha una storia che arriva da molto lontano: le prime testimonianze pittoriche risalgono al XVI secolo, ma è grazie alla documentazione raccolta da Valter Biella – partendo dalle testimonianze di Giacomo Ruggeri «Fagòt» di Casnigo, ultimo baghetèr della tradizione ottocentesca – che questo strumento è riuscito a tornare protagonista del panorama sonoro bergamasco.

Il baghèt nasce come strumento legato al mondo contadino da cui provenivano per la maggior parte dei suonatori (contadini o pastori), i quali utilizzavano lo strumento solo con l’arrivo del freddo: quando infatti il lavoro nei campi richiedeva meno sforzi, i contadini si ritrovavano spesso nelle stalle intrattenendosi ed accompagnando i propri canti con il baghèt. Poco dopo l’Epifania, poi, lo strumento era nuovamente riposto, fino all’inverno successivo. Il baghèt, dunque, è diventato simbolo del periodo invernale – e, ovviamente, anche quello natalizio – trovando nella dimensione della «Pastorale» una sua vera espressione, capace di trasmettere l’attesa e la gioia dello stare assieme, nella serenità di un falò o nella calda atmosfera delle stalle riscaldate dagli animali durante le rigide serate del mese di dicembre.

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