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«Capelli d’argento labbra rosse». C’era una volta in una casa di riposo…

Articolo. Per la Giornata internazionale dei diritti delle donne, Eppen, in collaborazione con Bergamo TV e L’Eco di Bergamo, ha costruito uno spettacolo teatrale che intreccia le fiabe di Cappuccetto Rosso e di Biancaneve con i racconti delle mamme e delle nonne delle case di riposo della nostra provincia. Appuntamento l’8 marzo alle 21 al Teatro Qoelet di Redona, ingresso gratuito

Lettura 4 min.
Venturina, Scanzorosciate

Sono stati fatti tanti passi. Tanti, invece, restano ancora da fare. Quella delle nostre nonne è una generazione coraggiosa, che ha dato il via al cammino di liberazione della donna attraverso piccoli grandi gesti: lo studio, il lavoro, i pantaloni, l’amore, i viaggi.

In occasione della Giornata internazionale dei diritti delle donne 2024, abbiamo voluto dare voce proprio a loro: le nonne delle case di riposo della nostra provincia. Abbiamo incontrato le ospiti della Fondazione Madonna del Boldesico di Grumello del Monte: Ines, Leonarda, Giuseppina, Alessandra, Pina, Rosalia, Consiglia, Rosa e Maria Lucia; della RSA Villa della Pace di Stezzano: Vittoria Antonia, Delia, Carla, Ernesta e Rosa Carla; della RSA Fondazione Milesi di Gromo: Maria Cristina, Dolores, Symone, Anna. E ancora, ci hanno aperto le porte la Casa di riposo Piccinelli di Scanzorosciate, con Anna, Angiolina, Teresina, Rosa, Venturina, Amabile e Giuseppina e la Fondazione Gusmini di Vertova, con Rosa, Miranda Laura, Maria Giovanna, Giovanna, Elena, Bruna Maria, Miranda e Lucia.

Ci siamo messi in ascolto, e abbiamo chiesto a Silvia Barbieri, regista e drammaturga, di tessere tutti i racconti in uno spettacolo teatrale. Nasce così «Capelli d’argento labbra rosse», che andrà in scena venerdì 8 marzo alle 21 al Teatro Qoelet di Redona (Via Papa Leone XIII 22, Bergamo). L’ingresso sarà gratuito, con prenotazione consigliata a partire dal 28 febbraio. La rappresentazione verrà trasmessa anche su Bergamo TV sabato 16 marzo alle 21.15 e in replica domenica 24 marzo alle 14.

Le fiabe che raccontano l’umano

«Sono cresciuta con le fiabe – racconta Silvia Barbieri – con le trame intessute di espedienti e magie: più delle principesse e dei principi, ad esercitare fascinazione su di me sono state le fate e le streghe, l’intervento del non spiegabile, dell’inaspettato che salva, della promessa mantenuta e del rimedio da cercare. Con loro ho rinforzato fiducia e ottimismo: fiabe che danno coraggio, che incontrano le paure, che tessono destini. Nell’incanto ho imparato il disincanto. Il valore dell’umano. Delle piccole straordinarie gesta del quotidiano. E ora eccomi a preparare una serata dedicata alle donne partendo dal “c’era una volta”».

Per aiutarci a legare i simboli contenuti nelle fiabe ai gesti concreti della vita quotidiana, salirà sul palco il professore di antropologia filosofica dell’Università Cattolica di Milano Silvano Petrosino, che al tema delle «Fiabe che non raccontano favole» ha dedicato un saggio. «Le fiabe sono un luogo dove incontrare l’umano con tutte le sue pulsioni, le fatiche e le bellezze. Le fiabe sono sì per bambini, anche per bambini, ma hanno le rughe. Sono vecchie signore che mi guardano, mi sbeffeggiano, se la ridono, ma aprono anche a dolori e ferite profonde, sogni irrealizzati, segreti di famiglie ora amorevoli ora odiose».

Questo viaggio è dedicato alle donne che, ospiti delle RSA, sentono di vivere nei loro castelli che diventano anche prigioni, nei luoghi dove sono curate, ma anche affidate e dimenticate. Alcune di loro hanno fatto la guerra, molte sono state orfane di mamma, date in affido a parenti o vicini, altre figlie di nessuno. Hanno conquistato pezzettini di libertà a suon di botte paterne o piccole marachelle. Alcune raccontano in modo diretto e a tratti spietato la loro indipendenza e il loro affrancamento, altre non osano ancora pensarlo.

Piccole e grandi battaglie quotidiane

A Gromo abbiamo incontrato Dolores, che non si chiamava così quando è nata. In Australia l’hanno battezzata come Dolly e probabilmente davvero somigliava a una bambolina, perché ancora oggi conserva una coppa d’argento che il comandante del bastimento che dall’Australia ha riportato in Italia lei e la sua famiglia le ha consegnato come bambina più bella del viaggio. Su quella nave rimasta in acqua oltre un mese c’erano anche le tre sorelle e la mamma. Il padre era da poco morto nelle viscere delle miniere australiane e con lui se n’era andato il sogno di riscatto che lo aveva portato a lasciare l’Italia anni prima. «Di quei tempi ricordo le urla della mia sorella maggiore, che implorava nostra madre di smettere di piangere. La disperazione per la perdita del marito e l’incertezza del futuro la deprimeva. Per molto tempo la nostra vita è stata misera. A undici anni, per portare a casa il mio contributo, insieme a mille altri lavoretti, trasportavo la borsa da viaggio dal pullman a casa di un vecchio villeggiante che saliva ogni venerdì in Val Seriana».

Ci siamo lasciati incantare dalla storia di Symone, una francesina che dalla Provenza è arrivata a Bergamo cinquant’anni fa e che ha conservato, insieme a una seducente “erre moscia”, la frangetta sbarazzina. In Francia ha sposato un boscaiolo originario della Valle Seriana e dopo il matrimonio sono rientrati in Italia: «È stato difficile imparare la lingua e adattarsi alle abitudini di Gromo. Da ragazza in Francia facevo la cameriera nei ristoranti e negli alberghi, arrivata qui in valle, di turismo non si parlava ancora». Alla domanda: «È stata felice nella vita?» risponde: «Cosa vuole, ho sposato un boscaiolo…».

Abbiamo visto Rosa, «rosellina di nome e di fatto» di Grumello del Monte, tingersi le labbra per la prima volta. Quando era giovane lei, per i complimenti non c’era nemmeno tempo. «Sono rimasta vedova il giorno in cui è nato il mio terzo figlio» racconta, mentre si lascia alle spalle i viaggi in Svizzera, le mucche allevate con fatica. Ines, invece, mostra una foto d’epoca: oggi ha novantaquattro anni, ma lo sguardo attento e dispettoso è rimasto lo stesso di quello che aveva da bambina.

E ancora, Maria Cristina da Gromo sorride pensando a una vita che «ha divorato tutta». Di mestiere faceva la sarta. Nei ricordi più belli di quel lavoro, c’è un tailleur che ha confezionato per una signora inserendo nel tessuto tutte le forme al posto giusto. Un vero capolavoro. «L’unico neo della mia vita è che non sono stata capace di fare figli. A Boario a quel tempo era una vergogna non averne». Nonostante tutto, se Maria Cristina chiede allo specchio: «Chi è la più bella del reame?», lo specchio le risponde senza indugio: «La più bella sei tu Maria Cristina». Come fa con Consiglia, nativa di Lecce e “residente” a Grumello, un foulard elegante appoggiato dolcemente sulle spalle.

«Sono viva»

«Per me – rivela la regista Silvia Barbieri – la fiaba è una sensazione fisica: quell’odore, quel buio, quell’eco, quel vuoto, è trovarmi in luoghi antichi, da sempre dentro di me. Luoghi che appartengono alle donne, che attraversano le stagioni della loro vita: penso a come il rosso del cappuccetto della bambina sia qualcosa di forte, vivido come il sangue e il momento in cui si diventa “signorina”, in cui si entra in un bosco e si incontra l’inaspettato, un sentiero sconosciuto e di certo più intrigante della strada maestra. Lo specchio della regina restituisce un’immagine di sé cambiata, che fa i conti con il tempo: molte delle vecchie signore non hanno mai avuto tempo di guardarsi perché costrette ad una quotidianità di impegni e fatiche, oppure a non cedere alla vanità sciocca e peccaminosa».

C’è tanta cura, tanto affetto dei figli e dei nipoti attorno alle donne che abbiamo incontrato. C’è tanta solitudine, malinconia, rassegnata accettazione attorno a loro. «Non si muore di vecchiaia, ma solitudine» dice una. Un’altra invece ti inonda di sorrisi e risate canzonate. Sono forti questi donne, resistono, «sono viva» dice una, un’altra risplende ancora dei complimenti ricevuti sul lavoro, e un’altra piange, sembra un uccellino, «piangevo sempre da piccola».

Non prendete impegni per il prossimo 8 marzo: «Capelli d’argento labbra rosse» è una costruzione da fiaba intorno a questo giardino di donne reali, vere, testimoni di un secolo che ci ha lasciato la grande conquista di un cammino verso la libertà e la dignità delle donne, fatta spesso in silenzio e con ostinazione.

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