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Cartacce, rossetti e orecchini con la clip. Gli imprevedibili insegnamenti di mia nonna

Articolo. L’8 marzo alle 21 al Cineteatro Qoelet di Redona andrà in scena «Capelli d’argento labbra rosse», lo spettacolo teatrale che il team di Eppen proporrà in occasione della Giornata internazionale della donna. Per accompagnarvi in questo viaggio, che ha coinvolto le anziane ospiti delle case di riposo della nostra provincia, abbiamo chiesto ad alcuni autori di condividere le storie dei loro nonni e delle loro nonne

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Marina e la nonna

Mia nonna Giulia, classe 1934, ha vissuto due vite. La prima – quella dell’infanzia e della prima giovinezza – non penso sia stata troppo dissimile da quella della mia bisnonna o di una qualunque contadina bergamasca dei secoli passati. Una realtà da «Albero degli zoccoli», se non fosse che il film di Olmi è ambientato nella Bassa, mentre mia nonna è della Valle Brembana. Un mondo estinto, di cui mia nonna, di tanto in tanto, offre preziosi squarci. Mi racconta di sua madre che bruciava l’olivo benedetto davanti casa per scacciare un temporale troppo minaccioso o di quando cucinava i porcellini di terra spacciandoli per coniglio (episodi che non sono sicura di avere compreso bene, tanto mi pare inverosimile cibarsi di onischi).

La seconda vita di mia nonna coincide con la contemporaneità: il dopoguerra, il matrimonio, l’emigrazione in Svizzera, il lavoro in fabbrica. Un mondo nuovo, che lei ha affrontato con baldanza e – oserei dire – con un certo successo. Mia nonna è sempre stata una donna moderna: ha sposato un uomo bellissimo, mite e profondo con cui ha avuto un rapporto di amore e rispetto; ha lavorato fuori casa percependo uno stipendio; ha avuto due figlie e non di più.

Non mi ha insegnato nulla di ciò che le nonne tradizionalmente intese insegnano: ha sempre cucinato il meno possibile (da quando è molto anziana ci ha rinunciato del tutto senza rimpianti, tranne a fare l’insalata: è la sua specialità); non ha mai regalato giocattoli perché sono inutili (ma sulle cose utili è sempre andata forte: tute, pigiami, soldi, uova, formaggio); non mi raccontava le favole (se non alcune storielle orrorifiche che credo servissero a insegnare la morale cristiana, tipo che se ti guardi troppo allo specchio vedi il diavolo). Mi ha insegnato però alcune cose fondamentali della vita, che ci tenevo a condividere con voi.

Abbronzatura, bikini e body shaming

Quando mia nonna andava a lavorare nei campi durante la mietitura si copriva per non scurirsi troppo la pelle, finché la mia bisnonna – che evidentemente aveva accesso a qualche informazione di moda e attualità – le disse che era una sciocca, perché l’abbronzatura stava diventando di gran moda fra le attrici.

Da allora per mia nonna il sole è diventato una religione. Smise il prima possibile di fare la contadina e nella pausa pranzo della sua giornata in fabbrica si metteva a prendere il sole in giardino. Durante le sue vacanze in riviera romagnola – appena poté permettersi di andare al mare – il suo credo è sempre stato quello di esporsi il più possibile, per ottenere una carnagione brunita. Personalmente, ho scoperto dell’esistenza di un fattore di protezione solare oltre l’8 solo da adolescente grazie alle amiche (ora non scendo mai sotto la 30, ché con il melanoma non si scherza).

Mi è rimasto però l’amore per i raggi solari, insieme a quello per il bikini. Per mia nonna non è mai esistito altro tipo di costume, perché sarebbe stato profondamente insensato privarsi di preziosi centimetri di pelle abbronzata. Per questo, quando un’amica mi dice di non sentirsi a suo agio nel mettersi in due pezzi o qualcuno fa commenti poco educati sui corpi altrui penso sempre all’esempio di mia nonna: il costume mica serve per essere carine, ma per andare al mare e prendere più sole possibile. Mia nonna ha indossato il bikini finché se l’è sentita di andare in spiaggia e io farò esattamente lo stesso, pure se dovessi avere 90 anni, le smagliature o pesare 120 chili.

L’amor di patria

Mia nonna mi ha insegnato l’unica forma di patriottismo che riesco a concepire: quella legata alla consapevolezza di chi si è e delle proprie origini. Operaia in un cantone della Svizzera francese, imparò la lingua in tempo record. Era così ben integrata che il direttore di stabilimento, pensando di farle un complimento, le disse che a confronto con le altre operaie provenienti dall’Italia lei poteva considerarsi svizzera. «Grazie, ma sono italiana» rispose lei. In quel «sono italiana» mi piace leggere tutto l’orgoglio che una contadina della Val Brembana aveva per la nostra storia e la nostra cultura, di cui si è sempre sentita parte. È la stessa ragione per cui, pur parlando in bergamasco con mio nonno, volle sempre parlare italiano alle figlie, perché non fossero private della possibilità di imparare bene la lingua, pur vivendo all’estero.

Come diceva Orson Welles ne «Il terzo uomo» (Palma d’oro a Cannes nel 1949), «in Italia, per trent’anni, sotto i Borgia ci furono guerre, terrore, omicidi e carneficine ma ne vennero fuori Michelangelo, Leonardo da Vinci e il Rinascimento. In Svizzera, hanno avuto amore fraterno, cinquecento anni di democrazia e pace, e cos’hanno prodotto? Gli orologi a cucù». Amo l’idea che anche mia nonna usasse un filo di ironia nel rapportarsi col suo capo svizzero.

Raccogli le tue cartacce

Eppure, sarebbe un errore pensare che mia nonna non apprezzasse la terra dov’era emigrata. Uno degli episodi del suo passato che mia nonna racconta più spesso è apparentemente insignificante. Un giorno era a Yverdon, stava passeggiando sul marciapiede e buttò (o le cadde) a terra un pezzo di carta, non so se uno scontrino, un biglietto dell’autobus o che altro. Una passante la fermò e le indicò: «Madame, votre billet», facendole segno di raccoglierlo, cosa che mia nonna prontamente fece.

Fu un punto di svolta per lei, che da allora non ha mai smesso di elogiare gli svizzeri per il loro senso civico e ha fatto completamente sua questa mentalità: gli spazi pubblici sono sacri, non si sporcano né si danneggiano in alcun modo. Gettare rifiuti a terra è disonorevole. Un modo di essere che, quasi per epigenetica, è arrivata fino ai suoi pronipoti, i miei figli. Camera loro può sembrare un bazar, ma mai si sognerebbero di buttare neanche una carta di caramella per strada, anzi, raccolgono la spazzatura (stecchini del gelato, cartacce, plastiche, tappi di bottiglia) che trovano in giro e io – invece che dire: «Che schifo», come a volte vorrei – li incoraggio a conferire tutto nel bidone della spazzatura più vicino.

Un’educazione sentimentale

Mia nonna credo avesse realmente trovato in mio nonno l’altra metà della mela: due caratteri quasi opposti, che ben combaciavano. Di mio nonno ha sempre stimato la saggezza e la bellezza (immaginate Sean Connery con gli occhi azzurri, giusto un po’ più bassetto: mio nonno era davvero un uomo bellissimo e senza vanità). Un’unione non priva di un certo romanticismo (si chiamavano «chéri») ma anche sostanzialmente paritetica, con mio nonno che lavava i piatti e mi faceva da baby sitter.

Nonostante questo, mia nonna non ha mai mitizzato il matrimonio, forse anche per una forma di scaramanzia: mai mi ha chiesto quando mi sarei sposata o avrei fatto figli, paventando piuttosto i rischi del divorzio. Non si sarebbe mai sognata di parlarmi del principe azzurro: il suo principale obiettivo, fin da quando avevo 10 o 12 anni, era che fossi in grado di difendermi, sapendo dove colpire e stando sempre attenta che non mi mettessero «la droga nel bicchiere» (è stata una sua preoccupazione per anni, non so quale caso di cronaca l’avesse particolarmente colpita).

Il rossetto, un caffè, gli orecchini

Mia nonna ha passato prove difficili nella vita, e se ha conservato il suo spirito lo deve al suo carattere volitivo e a una punta di egoismo e vanità, che non sono certo qualità proprie di una “brava nonna”. Mai sottomessa, mai preoccupata di ciò che dicono gli altri né di ferirli, amante delle comitive, delle feste e delle carte da gioco, non ha tracce di quelle caratteristiche che siamo così abituati ad associare alle donne: il senso di colpa, la timidezza, l’incertezza.

Non ho mai visto mia nonna uscire di casa senza i suoi mitici orecchini a clip – grossi e colorati – e quand’era più giovane teneva in bagno anche una vasta collezione di smalti e rossetti che erano il mio paradiso segreto. Da lei ho imparato che le cose che ci tirano su sono apparentemente insignificanti: un caffè con le amiche (mia nonna ha sempre adorato la compagnia), un rossetto squillante, indovinare la parola del gioco della ghigliottina, farsi i capelli, mettere le noci nell’insalata e, soprattutto, vincere a carte. Finché continuerà a battermi a scala quaranta so che potrò contare su di lei, come ho sempre fatto.

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