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Come è messa l’Italia in circolarità

Il Belpaese è tra i paesi europei che producono meno rifiuti, ma c’è ancora da fare sulla gestione. Il tasso di circolarità è del 21 per cento ma si ferma al 9% per le materie prime vergini sostituite dal riciclo

L’Italia è uno dei Paesi più virtuosi d’Europa nel campo dell’economia circolare. Lo dicono i numeri: secondo il «Green Book 2025» di Fondazione «Utilitatis», Utilitalia e Ispra, il nostro Paese ha un tasso di circolarità delle risorse del 21%, ben superiore alla media europea, che si assesta solo al 12%.

Non solo: siamo anche i primi della classe per valore generato da ogni unità di risorse consumata. Nello specifico, la produttività italiana delle risorse ha toccato nel 2023 i 3,6 €/kg, superando di gran lunga il dato di Germania, Francia e Spagna (che oscillano tutte attorno ai 3-3,2 €/kg) e la media dell’Ue, che non sfiora neppure i 2,50 €/kg. Aumenta, inoltre, la componente di materia prima riciclata nell’industria del Belpaese, mentre la quantità di materia prima vergine pro capite nel nostro sistema produttivo è in calo dal post-Covid: oggi ci assestiamo intorno alle 10,50 tonnellate annue di materiali pro capite, contro le 14 (e passa) di Francia, Germania e media Ue.

Meglio di noi fa solo la Spagna, che dal 2018 ha dato il via a un processo di riutilizzo delle sue materie prime che ha portato i suoi consumi dalle 11 tonnellate annue pro capite di sette anni fa alle 7,5 del 2023. Ma non siamo solo abili nel riutilizzare le stesse materie prime e nel promuovere l’economia circolare: siamo anche tra i Paesi europei che producono meno rifiuti. Nel 2023, il «Green Book» parla di poco più di 30 kg di rifiuti urbani a persona, mentre la Germania supera (di poco) i 50 kg e la Francia si attesta attorno ai 45 kg. Non dobbiamo sederci sugli allori: gli esperti che hanno stilato il rapporto congiunto, infatti, sottolineano che il dato – per quanto sia positivo – è stagnante ormai da diversi anni e che il rapporto italiano tra rifiuti prodotti e Pil è nettamente peggiore di quello di entrambi i cugini d’oltralpe. È un segno che la gestione dei rifiuti, sia urbani che speciali, deve ancora compiere enormi passi in avanti.

Per esempio, dovremmo imparare dalla Germania come gestire i rifiuti secchi: la percentuale italiana di frazione secca dei rifiuti urbani avviata al riciclo è del 32%, in linea con la media Ue ma molto indietro rispetto a quella tedesca, che arriva addirittura al 47%. Siamo i primi in Europa, invece, per la percentuale di rifiuti urbani inviati a compostaggio e digestione (il 26%), sia aerobica che anaerobica, mentre restiamo sotto, rispetto al resto del continente, per quanto riguarda i processi di incenerimento, recupero di energia e valorizzazione termica.

Riduzione in discarica

È assai positiva, invece, la riduzione dei rifiuti che finiscono in discarica: a livello europeo, meglio di noi fa solo la Germania, ma il nostro Paese segna una riduzione del 10,2% del dato pro capite (da 98 a 88 kg a persona, sommando i rifiuti urbani a quelli speciali) di scarti avviati allo smaltimento tramite discariche o simili solo tra il 2022 e il 2023, gli ultimi anni per cui ci sono dati puntuali. Questa componente si può – e si deve – ridurre ulteriormente, ma sembra che le politiche nazionali siano sulla strada giusta. La parte del «cerchio» su cui, invece, è necessario intervenire è quella della valorizzazione termica: il «Green Book» sollecita le istituzioni e gli operatori dell’industria a risolvere il problema della carenza degli impianti di recupero energetico dei rifiuti, soprattutto nelle regioni del Centro-Sud. I redattori del rapporto, infatti, ricordano che i Paesi che si stanno avviando con successo verso l’obiettivo «discarica zero» – Germania e Belgio in particolare – hanno raggiunto tale risultato investendo sulla valorizzazione termica. Le nazioni più arretrate sotto questo punto di vista – Spagna e Portogallo – sono anche quelle in cui la frazione di rifiuti che finiscono in discarica è la più alta: in entrambi i casi, infatti, supera il 50% del totale.

Materie prime: solo il 9% sostituito da riciclo

L’Italia è il Paese europeo leader nell’utilizzo delle materie prime seconde, ovvero dei materiali ottenuti dal recupero o dal riciclo dei rifiuti industriali e urbani. Il tasso di circolarità italiano è del 21%, il che significa che un quinto (o poco più) delle materie prime utilizzate dalla nostra industria deriva da processi di riciclo. Si tratta, in percentuale, del doppio della media europea: non è dunque un caso che l’Italia esporti ben tre milioni di tonnellate di materie prime seconde l’anno verso destinazioni Ue ed extra-Ue, a fronte di importazioni per circa 11,5 milioni di tonnellate. Anche in questo caso, però, non è il momento di darsi una pacca sulla spalla. C’è, infatti, un nodo critico nell’utilizzo delle materie prime seconde, che né Roma né Bruxelles sono ancora riuscite a risolvere: quello della sostituzione delle materie prime vergini. Solo il 9% delle materie prime vergini sono state soppiantate da quelle provenienti dal riciclo, il che indica che le materie prime seconde vengono utilizzate principalmente in filiere costruite attorno a loro, anziché rimpiazzare quelle vergini nelle industrie già esistenti. Questo perché ci sono ancora grandi difficoltà nel garantire che i materiali derivati dal riciclo siano di qualità abbastanza alta e di disponibilità sufficientemente ampia da sostituire quelle che derivano dallo sfruttamento diretto delle risorse naturali. L’obiettivo – nazionale ed europeo – deve essere, insomma, quello di creare le condizioni per un mercato competitivo anche per le materie prime seconde, dove queste ultime vengano commercializzate allo stesso prezzo di quelle vergini.

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