Un mix energetico davvero sostenibile non può prescindere dal nucleare. L’atomo è fondamentale sia nella sostituzione delle centrali termoelettriche, vecchie e inquinanti, sia nella stabilizzazione della rete elettrica nazionale quando fotovoltaico, idroelettrico ed eolico non bastano. Ma quale nucleare dovremmo adottare? Ne abbiamo parlato con Stefano Buono, ad di Newcleo, azienda specializzata nello sviluppo di impianti nucleari modulari di quarta generazione. Tra marzo e aprile, Newcleo è finita sotto i riflettori per l’interesse dimostrato nelle proprie soluzioni dal ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin, e dal ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso. Un interesse che pareva potesse concretizzarsi in un maxi-investimento da 200 milioni di euro.
L’idea dei mini reattori riscaldati a piombo
L’ad di Newcleo: il prototipo in Francia nel 2031. Impianti piccoli, di sei metri per sette, facili da costruire. «Eliminato il rischio di incidenti e tagliati i costi». Si usano gli scarti come l’uranio esausto e il plutonio.
Newcleo sviluppa reattori modulari di quarta generazione. Di che cosa si tratta?
«La nostra tecnologia nasce dalla consapevolezza che il ritorno al nucleare è necessario per raggiungere la neutralità carbonica e completare la transizione energetica. I reattori di Newcleo affrontano i tre grandi problemi percepiti del nucleare: la sicurezza, le scorie e i costi elevati. Si tratta di impianti piccoli e compatti, di sei metri per sette, modulari e facili da costruire, cosa che ne riduce di molto il prezzo e, di conseguenza, i costi in bolletta per i consumatori. Li chiamiamo “Reattori veloci raffreddati al piombo”, o “Lead-cooled Fast Reactors”: il nome deriva dalla scelta del piombo liquido per il raffreddamento, in sostituzione all’acqua. Il piombo liquido rende i reattori più sicuri: non richiedono un intervento umano per spegnersi ed eliminano completamente il rischio di incidenti. Un sistema di riciclo del combustibile, inoltre, ci permette di eliminare le scorie prodotte dalle vecchie centrali».
Nei vostri reattori utilizzerete un combustibile chiamato «Mox». Quali sono i suoi vantaggi rispetto al plutonio e all’uranio?
«La sigla “Mox” indica un combustibile nucleare che combina gli scarti dell’industria nucleare, come l’uranio esausto e il plutonio, cioè l’elemento in cui si trasforma l’uranio quando viene utilizzato in un reattore tradizionale per produrre energia. Il “Mox” non è un combustibile nuovo, dal momento che viene utilizzato da anni nell’industria nucleare francese. Proprio per questo motivo, oggi lavoriamo in Francia per costruire una fabbrica di combustibile, che vorremmo completare entro il 2030. Abbiamo già identificato il sito dove costruirla e la comunità locale ha accolto con entusiasmo il nostro desiderio di investire sul territorio».
Come riuscite a recuperare l’uranio esausto all’interno del vostro combustibile?
«Il “Mox” è una combinazione di uranio depleto – cioè privato della sua parte in grado di produrre energia – e di plutonio. Il primo elemento proviene dall’arricchimento dell’uranio utilizzato nei reattori nucleari: è un materiale poco radioattivo, che viene stoccato in appositi depositi. Solo in una piccola parte – e solo in Paesi virtuosi come la Francia – viene recuperato, processato e infine riutilizzato. Combinato con il plutonio, anch’esso proveniente dai reattori tradizionali, diventa un combustibile perfetto per i reattori di nuova generazione, progettati per usarlo in maniera efficiente per produrre energia. In sostanza, prendiamo un rifiuto e un materiale pericoloso per estrarre grandi quantità di energia ed eliminare quelle che, altrimenti, verrebbero considerate scorie da gestire con grande attenzione e costi elevati, per giunta per lunghi periodi di tempo».
La vostra strategia industriale prevede un approccio «a zero scavi». Che cosa comporta?
«A differenza dei reattori tradizionali, quelli che stiamo sviluppando possono estrarre tutta l’energia potenziale dell’uranio naturale. I nostri calcoli ci dicono che, con le sole scorie del nucleare francese, potremmo alimentare l’intera domanda di elettricità d’Europa per centinaia di anni senza estrarre nuovo uranio dalle miniere. Di recente, abbiamo firmato un accordo con la Slovacchia per la costruzione di reattori che elimineranno le scorie nucleari del Paese senza necessità di estrarre nuovo uranio. È una soluzione sostenibile e che riduce la dipendenza dalle materie prime straniere».
Quando potremo vedere in funzione il primo reattore di Newcleo?
«Il nostro progetto prevede una serie di passaggi successivi e complementari, che ci consentiranno di realizzare il primo reattore di Newcleo nel 2031, in Francia. Il primo passo sarà la realizzazione di “Precursor”, una macchina che simula il funzionamento di un reattore in tutte le sue parti, ad eccezione del combustibile nucleare: quest’ultimo verrà sostituito da barre scaldate elettricamente, perciò si tratterà di un “reattore elettrico”. Svilupperemo “Precursor” in Italia, insieme ad Enea, nel Centro ricerche Brasimone in Emilia-Romagna, dove stiamo investendo 90 milioni di euro in un team che diventerà un punto di riferimento mondiale nei sistemi di raffreddamento a piombo. Nel 2030 realizzeremo la fabbrica di “Mox” in Francia, che servirà per produrre il combustibile per il reattore che entrerà in funzione l’anno dopo. Quest’ultimo sarà un impianto di piccola taglia, pensato per la sperimentazione e la validazione di sistemi e materiali. I primi reattori commerciali arriveranno a partire dal 2033, dapprima in Inghilterra e poi nei Paesi che già da ora li stanno richiedendo, come la Slovacchia e – chissà – forse anche l’Italia».
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