L’Europa rischia di restare ai margini della scena internazionale? Il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca, la guerra russo-ucraina e le tensioni in Medio Oriente scuotono l’agenda europea e ne frenano la competitività. Per analizzare la situazione, anche sul piano degli investimenti in ambito sostenibilità, abbiamo intervistato il ricercatore dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi), Matteo Villa, per capire a che punto siamo. Nel frattempo si sta svolgendo in questi giorni il più importante evento della diplomazia climatica mondiale, la Cop30, che aprirà il 10 novembre a Belém, in Brasile.
La transizione ecologica va avanti tra ostacoli e conferme
L’intervista al ricercatore Matteo Villa (Ispi). Un sondaggio di Ipsos, in oltre 40 Paesi, rivela che temiamo il «climate change», ma non siamo disposti a pagare più imposte per contrastarlo. Accanto a segnali negativi, si continua a investire in rinnovabili, con risparmi notevoli
La sostenibilità è scomparsa dal dibattito pubblico? «Non solo da quello pubblico ma anche dal modo in cui Stati e aziende ne parlano – risponde Villa –. Se guardiamo solo alla dimensione ambientale ci sono delle cose che le grandi aziende continuano a fare, come investire in fondi verdi. Nell’ultimo anno e mezzo però una delle più grandi alleanze tra istituti di credito, la Gfanz (Glasgow financial alliance for net zero, ndr), ha visto i suoi membri ridursi in modo significativo». È notizia di ottobre la chiusura della Net-zero banking alliance, iniziativa nata nel 2021 sotto il cappello della Gfanz, per via delle defezioni di grandi gruppi bancari soprattutto nordamericani. La fase di riflusso è testimoniata anche dall’esito delle ultime elezioni europee: «Ad avanzare sono stati gli scettici sui costi della transizione, in particolare le coalizioni di centrodestra e i conservatori critici verso il Green Deal. Tutte queste formazioni sono state premiate da un elettorato che avverte che i costi della transizione sono eccessivi – prosegue il ricercatore di Ispi –. Un sondaggio condotto da Ipsos in oltre 40 Paesi del mondo chiedeva agli intervistati se l’impatto del cambiamento climatico nell’arco di 70 anni sarà o non sarà severo. E oltre il 70% avevo risposto che sì, lo sarà. Alla successiva domanda, però, in cui si domandava la predisposizione a pagare più tasse per far fronte all’emergenza, la stessa percentuale ha risposto con il no».
Guardare il bicchiere mezzo pieno
Non bisogna però farsi prendere dallo sconforto, e imparare a guardare il bicchiere mezzo pieno, aggiunge Villa: «Questo riflusso arriva in un momento in cui la transizione fatta dalle rinnovabili costa molto meno. In particolare il solare e l’eolico non avranno più bisogno di sussidi. La transizione sta andando avanti molto spedita: non si sono mai installate così tante rinnovabili come quest’anno». Secondo le stime di Ispi quindi «la transizione verde non è ferma, questo però non vuol dire che stiamo andando alla velocità giusta – sottolinea Villa –: rispetto agli obiettivi che ci eravamo imposti due anni fa, alla Cop28 a Dubai, triplicare l’installazione di rinnovabili entro il 2030, non verrà raggiunto. Bisogna però riconoscere i segnali positivi: la transizione adesso cammina in gran parte con le proprie gambe. Dieci-quindici anni fa senza il sussidio pubblico le rinnovabili sarebbero crollate, sempre. Oggi alcune centrali solari ed eoliche ripagano più di quanto siano costate al sistema e questa è anche la bellezza del progresso tecnologico».
D’altra parte la Commissione Europea ha subito una serie di critiche per non aver mantenuto fede agli impegni ed è stata giudicata dallo stesso Mario Draghi come poco competitiva. «Una critica molto forte che si fa, correttamente, al Green Deal è che immaginare un mercato di auto completamente elettrico al 2035 non è realistico e ha in parte svantaggiato una parte del settore. Ma le colpe non possono essere attribuite solo alla Commissione, perché gli errori li hanno fatti soprattutto gli industriali, molti dei quali non ci hanno investito. Sul piano automotive ci siamo fatti superare dalla Cina, quando una buona parte dei brevetti legati alle tecnologie per batterie sono fatti in Europa. La produzione a costi inferiori che avviene in Cina ci batte perché sanno trovare economie di scala».
Rinnovabili superano il carbone
Nel Global electricity mid-year insights 2025 pubblicato ad ottobre da Ember c’è una notizia bellissima: solare ed eolico hanno superato la crescita della domanda globale di elettricità nella prima metà di quest’anno, mentre le energie rinnovabili hanno superato il carbone nel mix energetico globale, impedendo ulteriori aumenti di emissioni di CO₂ del settore energetico. Il secondo punto chiave è che l’energia solare ha registrato una crescita record di 306 TWh (31%) con in testa la Cina (55%), seguita da Stati Uniti (14%), Ue (12%), India (5,6%) e Brasile (3,2%), mentre il resto del mondo ha contribuito solo per il 9%. Terza buona notizia è che la produzione globale di combustibili fossili è leggermente diminuita, in particolare in Cina e in India. Al contrario, negli Stati Uniti, le fonti pulite non hanno tenuto il passo con l’aumento della domanda, quindi la produzione di energia da combustibili fossili è aumentata. Nell’Ue, sia il carbone che il gas sono leggermente aumentati per compensare la minore produzione di energia eolica, idroelettrica e bioenergia. Nonostante la domanda globale di elettricità sia aumentata del 2,6%, le emissioni sono diminuite leggermente di 12 MtCO2 nella prima metà del 2025. I cali in Cina (-46 MtCO2) e India (-24 MtCO2) hanno riflesso una crescita della generazione pulita superiore alla domanda. Al contrario, le emissioni sono aumentate nell’Ue (+13 MtCO2) e negli Stati Uniti (+33 MtCO2) rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.
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