Trasformare in terra fertile campi quasi inutilizzabili. Lo svizzero Ernst Götsch, padre del metodo di coltivazione sintropica, ci è riuscito con una piantagione di cacao abbandonata a Bahia, nel nord-est del Brasile, trasformandola in una «farm» rigenerativa. È diventato così una sorta di guru della coltivazione sintropica. Il modello rientra nel concetto più ampio di agricoltura rigenerativa.
Cos’è l’agricoltura rigenerativa e perchè serve al pianeta
Il metodo spiegato dalla giornalista Silvia Lazzaris : «Non ridisegnerà il sistema globale da sola, ma è uno strumento potente per recuperare suoli degradati, combattere la desertificazione, rafforzare le comunità rurali»
L’esperienza è raccontata dalla giornalista freelance Silvia Lazzaris, che ha visitato la «farm» di Götsch e l’ha intervistato: ne parla nel documentario «Farming, Redefined» , prodotto da FoodUnfolded e distribuito in Italia da Will Media. «Visitare l’azienda di Götsch – spiega Lazzaris – ribalta completamente il concetto di campo coltivato. A un primo sguardo si mimetizza con la foresta atlantica; poi, osservando con attenzione, ci si accorge che a ogni livello di copertura forestale ci sono coltivazioni: cacao, banane, frutti tropicali. Tutto è coltivato senza una goccia di irrigazione, fertilizzante, pesticida».
Il principio di fondo
Qual è il concetto alla base dell’agricoltura rigenerativa? «Il principio di fondo è lasciare il suolo in condizioni migliori di come lo si è trovato. È in parte una risposta alle ferite lasciate dall’agricoltura convenzionale, a un utilizzo eccessivo di fertilizzanti e pesticidi, alla perdita di biodiversità, acqua e suolo», spiega la giornalista, specificando che ci sono diverse forme agricole che rientrano nella categoria di rigenerative. «Ci sono alcuni elementi in comune con l’agricoltura biologica, come la rotazione delle colture o le piantagioni di carrubo. L’agricoltura rigenerativa, però, rispetto al biologico non impone pratiche: si parla di principi da tradurre in misurazioni e risultati tangibili. Per esempio, non si vieta l’uso di pesticidi, ma si mira a capire quanta acqua trattiene il suolo, quanti microbi o nutrienti ci sono al suo interno – prosegue Lazzaris –. Non tutti gli esempi di “farm” rigenerative adottano il metodo di Götsch: un elemento comune è l’attenzione forte al riequilibrio dell’ecosistema. La convivenza con flora e fauna autoctone è fondamentale, le erbacce sono considerate le migliori amiche dell’agricoltore». Anche sul piano giuridico la distinzione è importante: «Il termine “rigenerativo” lascia ancora ampio margine di interpretazione, a differenza del biologico che, regolamentato a livello europeo attraverso standard rigidi, copre solo il 10% dei terreni agricoli europei e il 2% di quelli mondiali. La mancanza di una certificazione ufficiale implica, da un lato, una leggerezza burocratica e un’adattabilità ai contesti, dall’altro il rischio di svuotarsi di ogni significato e trasformarsi in greenwashing», sostiene Lazzaris.
Un esempio anche a Ibiza
Il documentario pone l’accento sul tema dei limiti di applicazione di questa tipologia di agricoltura: «Molti sostengono che non siano climatici o geografici ma legati alla forza lavoro – osserva Lazzaris –. Servirebbero molte persone e molti terreni. Non c’è solo la foresta atlantica: dal documentario emerge anche l’esempio di una realtà spagnola, Juntos Farm di Ibiza, dove la rigenerazione è intesa come il rafforzamento delle comunità locali e della loro indipendenza. «L’avanzamento tecnologico potrebbe aiutarci, ma quello sviluppato finora funziona soprattutto per le monocolture e l’agricoltura convenzionale.
L’agricoltura rigenerativa non ridisegnerà il sistema globale da sola, ma è uno strumento potente per recuperare suoli degradati, combattere la desertificazione, rafforzare le comunità rurali. Soprattutto insegna che le monocolture non sono l’unica via».
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