In tanti si chiedono se l’Italia sia un Paese in grado di convivere con la fauna selvatica ospitata sul suo territorio. Da quando è stato presentato il disegno di legge n.1552, firmato dai capigruppo della maggioranza in Senato per modificare la legge base attualmente in vigore, la legge 11 febbraio 1992 n.157 recante “norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio”, è iniziato un acceso dibattito politico e tecnico.
Fauna selvatica e caccia: l’Italia divisa sulla riforma della legge 157
La riforma della legge 157 accende il dibattito tra tutela della biodiversità e gestione della caccia. L’Italia cerca un equilibrio tra conservazione, agricoltura e sicurezza ambientale.
La “sfida” principale per il legislatore sarà (attualmente le proposte di modifica sono ancora in discussione al Senato) quella di trovare un punto di equilibrio tra le esigenze di tutela e gestione della fauna, di tutela dell’agricoltura e di conservazione della biodiversità.
I punti di vista sono diversi ed hanno creato contrapposizioni. Da una parte i sostenitori della riforma della legge 157, che regolamenta l’attività venatoria, hanno l’obiettivo di aggiornare la normativa rendendola più funzionale alle esigenze attuali di gestione faunistica e venatoria, motivato dall’aumento incontrollato di alcune specie, in particolare cinghiali che stanno causando danni ai raccolti ed alle aziende agricole, dalla proliferazione di animali selvatici che hanno causato anche l’aumento di incidenti stradali, dall’esigenza di contenere malattie come la Peste suina africana (Psa) per la quale i cinghiali sono considerati i vettori principali. Dall’altra parte le opposizioni, le associazioni ambientaliste e buona parte del mondo scientifico, sono schierati a difesa della legge attuale. Temono che vi sia il rischio di una “liberalizzazione indiscriminata” della caccia in contrasto con il principio costituzionale ed europeo della prevalenza della protezione della natura, di trasformazione delle aree protette da valore da difendere a problema da contenere.
Vengono sollevate, inoltre, obiezioni sull’estensione dei periodi di caccia e delle aree cacciabili, sulla marginalità del parere vincolante dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale) nelle procedure decisionali. Le modifiche, secondo gli oppositori, potrebbero minacciare anche la biodiversità, violare le direttive europee sulla conservazione degli uccelli selvatici e gli impegni internazionali dell’Italia per la protezione dell’ambiente. Alcune norme per il controllo della fauna selvatica, con l’introduzione di modifiche al testo della legge attuale, sono state già proposte e discusse con la legge di bilancio del 2023 che ha modificato l’articolo 19 (nelle attività di controllo della fauna selvatica, le regioni possono avvalersi di cacciatori appositamente formati e iscritti negli Ambiti Territoriali di Caccia; gli animali abbattuti, previa autorizzazione, possono essere destinati al consumo alimentare).
Con la legge di bilancio del 2025 è stato modificato pure l’art. 18. Le regioni possono autorizzare la caccia al cinghiale per 4 mesi consecutivamente, anziché 3; è stato eliminato il divieto di caccia sui valichi montani; è stata rimossa la specie Canis lupus dall’elenco delle specie particolarmente protette; sono state riviste le norme sui richiami vivi in linea con la direttiva europea. Sono ancora in discussione altre proposte di modifica come il divieto di utilizzare munizioni contenenti una concentrazione di piombo uguale o superiore all’1% nelle zone umide, la semplificazione dei calendari venatori, la limitazione dei ricorsi e la flessibilità nell’esercizio della caccia, modifiche alle procedure di impugnazione e la possibilità di discostarsi dai pareri dell’ISPRA.
Mentre a livello globale in questi anni si è osservato un declino generalizzato delle popolazioni faunistiche, l’Italia possiede un patrimonio faunistico tra i più importanti in Europa nonostante alcune specie siano minacciate di estinzione a causa della perdita di biodiversità, del degrado degli ecosistemi e delle attività umane. La fauna selvatica è patrimonio dello Stato ed è tutelata dalla legge, pertanto la sua gestione richiede un equilibrio tra conservazione e prevenzione dei conflitti con le attività umane. Secondo alcuni studiosi per uscire dagli equivoci ideologici contrapposti, la proposta di riforma dovrebbe essere in grado di colmare lacune e ritardi della legge n. 157 aprendo ad iniziative concrete partendo dalla verifica dello stato della fauna selvatica con la consulenza per la sua conservazione e gestione da parte dell’ISPRA che si avvale, come fonte d’informazione anche dei dati forniti dalle Regioni, le quali istituiscono e rendono operative le osservazioni scientifiche. Comunque sia, sarebbe utile un prelievo conservativo basato sulle migliori conoscenze ed attuato da persone preparate e la possibilità di utilizzare l’ambiente da parte di tutti gli altri cittadini in termini pratici ed anche culturali.
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