I ghiacciai della Lombardia sono indicatori preziosi del cambiamento climatico in alta montagna. Le osservazioni di Legambiente mostrano come, tra tutti, anche l’Adamello, il più vasto apparato glaciale delle Alpi italiane, solo nel 2024 abbia registrato una perdita di spessore nel settore frontale di tre metri ed effetti della fusione fino a 3100 metri di quota.
I ghiacciai lombardi verso l’estinzione senza taglio della CO2
Si è perso il 66% della superficie in solo un secolo e mezzo. Le temperature molto elevate dell’estate annullano anche gli accumuli primaverili rilevanti come nel 2024
Le misurazioni del Servizio Glaciologico Lombardo indicano una contrazione dell’area glaciale del 40% rispetto al massimo avanzamento del XIX secolo, corrispondente alla perdita di oltre mille ettari di ghiaccio. A riportare i dati è Mattia Gussoni, meteorologo e glaciologo del Servizio Glaciologico Lombardo. «Negli ultimi 19 anni la fronte del Mandrone ha subito una perdita di spessore di 72 metri, l’equivalente di un grattacielo di 18 piani, e solo nel 2022 si è toccato il record negativo di -7,35 metri. Tali fenomeni si giustificano con la prolungata e perdurante scarsità, quando non totale assenza, dei residui nevosi presenti sul ghiacciaio alla fine della stagione estiva e con la conseguente forte elevazione dell’Ela (Equilibrium Line Altitude, la linea che separa la zona di accumulo di massa, da quella con perdita di massa, ndr), spesso collocata tra i 3300 e i 3400 metri, in pratica a quote prossime ai limiti superiori del ghiacciaio».
Come se la cavano gli altri ghiacciai lombardi?
«Dalla fine della Piccola Età Glaciale nel 1850, i ghiacciai della Lombardia hanno registrato un forte regresso sia lineare che areale: di fatto si è perso circa il 66% della superficie in circa un secolo e mezzo. Stiamo assistendo a un fenomeno imponente e in accelerazione che sta modificando profondamente il volto delle nostre Alpi e che potrebbe portare in pochi decenni alla quasi totale estinzione della risorsa costituita dai ghiacciai alpini».
Com’è cambiata la situazione dei nostri ghiacciai nell’ultimo anno?
«Nonostante l’ingente quantitativo di neve stagionale osservato a giugno sull’intero arco alpino, l’estate 2024, caratterizzata da valori di radiazione e temperatura particolarmente elevati, ha generato dei tassi di fusione elevata, concentrata soprattutto nei mesi di luglio e agosto. Le fortissime anomalie climatiche degli ultimi anni evidenziano un peso estremamente significativo dell’aumento delle temperature nel semestre estivo nel determinare i bilanci glaciali. Estati così calde sono in grado di controbilanciare accumuli primaverili anche eccezionali».

Che cosa comporta per noi la riduzione e scomparsa glaciale?
«Oltre alle modificazioni paesaggistiche e all’alterazione degli equilibri biologici, ci sarebbero ingenti problematiche relative alla sicurezza per l’instabilizzazione dei versanti. Inoltre, in estate i ghiacciai forniscono un importante contributo di acqua dolce nei fiumi della sponda sinistra del Po. Una riduzione glaciale, dopo una prima fase in cui la fusione continua ad essere importante, comporta un sempre più limitato rilascio di acqua. Tale situazione comporterebbe una modifica nel regime fluviale, fino a giungere a un regime prettamente appenninico, con minimi estivi e ripercussioni su agricoltura e produzione di energia».
Che cosa possiamo fare per preservare quello che resta?
«Da un punto di vista geofisico è ancora possibile limitare il riscaldamento a 1,5°C, ma ciò richiederebbe una riduzione immediata e progressiva delle emissioni, per raggiungere emissioni zero nette di CO2 a livello globale intorno alla metà del secolo. Secondo le elaborazioni modellistiche più recenti, se riuscissimo a rispettare gli accordi di Parigi e quindi riuscissimo a contenere l’innalzamento delle temperature tra 1,5° e 2°C rispetto all’era preindustriale, entro la fine del secolo potremmo conservare il 21% dei ghiacciai lombardi altrimenti condannati alla quasi totale estinzione».
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