Nel numero di maggio di eco.bergamo dedichiamo un articolo agli infestanti delle piante della bergamasca: con il Servizio fitosanitario regionale, abbiamo parlato di insetti «alieni» come il bostrico, il tarlo asiatico e lo scarabeo giapponese - tutti animali che stanno mettendo a dura prova la sopravvivenza dei nostri alberi. Completa il nostro viaggio tra le specie aliene
Xylella: diffusione nel Salento favorita dal negazionismo
L’intervista al giornalista Daniele Rielli, autore di «Il fuoco invisibile». Dalle teorie del complotto all’importanza della prevenzione, affidandosi ai ricercatori
un’intervista a Daniele Rielli, giornalista, scrittore e podcaster entrato nella dozzina finale del Premio Strega del 2024 con il suo romanzo «Il fuoco invisibile», che è stato ospite della «Fiera dei Librai». A metà tra romanzo famigliare e inchiesta giornalistica, il libro racconta l’infestazione da xylella in Salento e nel resto della Puglia, concentrandosi sugli errori nella gestione dell’emergenza e nel contrasto al batterio, nonché sugli scivoloni comunicativi, sulle teorie del complotto e sulle verità alternative che hanno ritardato la risposta della politica e delle istituzioni. Abbiamo chiesto all’autore quali lezioni abbiamo imparato dal caso della xylella: queste sono le sue risposte.
Cosa abbiamo imparato dall’epidemia da xylella fastidiosa in Puglia?
A livello istituzionale, forse delle lezioni sono state apprese. L’infestazione da xylella ci ha spinti a implementare una serie di protocolli e di strutture per il contenimento e il controllo delle specie allogene e dei batteri che prima non esistevano. La Puglia è stata il primo contesto dove le abbiamo applicate. A livello culturale, invece, abbiamo imparato molto meno. Ed è proprio su questo piano che si colloca «Il fuoco invisibile».
Cosa intende per “livello culturale”?
La xylella è stata una grande illusione collettiva che ha colpito politica, istituzioni e popolazione. Se questa allucinazione non si fosse verificata, gli olivi morti ci sarebbero ancora. All’inizio, una serie di motivi culturali e di credenze quasi superstiziose e magiche ha portato a ritardare la risposta: il tempo perso ci ha condannati. Ciò che più preoccupa è che non siamo ancora riusciti ad arginare del tutto queste posizioni: ancora oggi - nonostante la malattia si sia spostata di circa duecento chilometri a nord - sentiamo le stesse storie assurde di chi si trovava di fronte all’infestazione tra il 2008 e il 2010. Vediamo gli stessi atteggiamenti negazionisti, le stesse narrazioni alternative e false del passato. Se da un lato le istituzioni qualche contromisura l’hanno messa in piedi, benché troppo lentamente, a livello popolare la situazione resta gravissima.
Da dove arrivano il negazionismo e le verità “alternative” sulla xylella?
C’era chi sosteneva che si trattasse di una malattia creata da qualche multinazionale “cattiva” che voleva distruggere tutti gli ulivi del Salento con piante transgeniche: era una sciocchezza, perché gli ulivi transgenici neanche esistono. Altri dicevano che era un complotto dell’Europa, della Toscana e di altre regioni del mondo che ce l’avevano con il Salento per la sua produzione di oli e olive, e dunque colpivano ciò che la regione ha di più prezioso. Poi c’erano teorie più fantasiose su acque contaminate, veleni sparsi di notte da persone vestite con tute anticontaminazione. Sembrano storie surreali o grottesche, ma all’epoca furono prese molto seriamente dalle istituzioni: la magistratura aprì addirittura delle indagini a riguardo.
Quale fu l’effetto di queste teorie del complotto sull’infestazione?
Rallentarono moltissimo il contenimento della malattia, che infine si diffuse con una capillarità tale da non essere più eradicabile. La xylella andava affrontata in fretta e con severità, ma le teorie del complotto e il negazionismo frenarono la risposta. L’occasione di risolvere il problema venne persa, e oggi non possiamo far altro che conviverci.
In «Il fuoco invisibile», racconta le storie degli scienziati che hanno messo in guardia la popolazione dal pericolo. Che cosa è accaduto loro?
Nel romanzo parlo degli scienziati del CNR di Bari, che hanno perseguito la verità nonostante il negazionismo diffuso, pagando un caro prezzo. Il CNR di Bari ha scoperto la malattia, per poi essere accusato dalla magistratura di averla diffusa. Ovviamente era un’accusa assolutamente infondata, tant’è vero che non si è nemmeno arrivati a un processo. Però c’è stata un’indagine che è durata per anni che ha creato grossi problemi ai ricercatori e alle loro famiglie. Anche gli olivicoltori che hanno deciso di fare la cosa giusta fin da subito, che hanno sostenuto i tagli a scopo di contenimento, hanno subito delle pressioni. Chi sosteneva una risposta scientifica e rigorosa al problema non poteva neanche andare in piazza a parlarne senza scorta. Ci sono state diverse presentazione a cui io stesso avrei dovuto partecipare e che sono state cancellate perché gli organizzatori temevano tafferugli e scontri. Le intimidazioni erano all’ordine del giorno.

Crede che l’infestazione da xylella abbia dei tratti in comune con quelle causate da altre specie aliene nel resto d’Italia?
Sicuramente hanno tutte un’origine comune, che dipende dalla globalizzazione e dall’aumento della circolazione delle merci vegetali vive. Questo commercio incrementa anche il rischio di importazione di patogeni come la xylella e di specie aliene come il tarlo asiatico. Ma queste ultime esistono da quando l’uomo viaggia sulle navi: la peste nera è arrivata in Europa via mare dall’Asia, per esempio. Con il tempo, abbiamo imparato a gestire i problemi connessi alla globalizzazione dei commerci. Nel nostro Paese ci sono casi di successo che lo dimostrano, come quello del bostrico in Trentino.
Allora perché l’infestazione da xylella è stata così grave in Puglia?
Perché la risposta è stata all’insegna della superstizione, che ha contraddistinto il caso della xylella da tutti gli altri infestanti che hanno colpito il nostro Paese. Le istituzioni e la popolazione hanno rifiutato la verità scientifica e si sono rifugiate in una serie di culti magici, con risultati terrificanti: una grande caccia alle streghe e la totale distruzione del territorio. Non credo che qualcosa del genere possa verificarsi in futuro, ma mai dire mai.
Crede che gli errori nella gestione della xylella rappresentino un caso unico per il nostro Paese?
Le cacce alle streghe sono sempre esistite nella storia umana e tendono a riproporsi ciclicamente. In Puglia, questa tendenza è riemersa in concomitanza con una malattia che non colpiva una pianta qualunque, ma una che è quasi considerata sacra. Se anziché l’ulivo fosse stato colpito il mandarino - per citarne uno - le cose sarebbero andate molto diversamente. Non ci sarebbero stati 21 milioni di alberi morti, compresi alcuni milioni di alberi secolari ad alto valore storico-culturale e paesaggistico.
Quali sono stati i danni della xylella in Salento?
Ormai l’intera provincia di Lecce, la più devastata, è quasi completamente desertificata. Il ripopolamento con varietà resistenti al batterio non si sta rivelando efficace, e comunque procede a rilento a causa di una terribile malagestione dei fondi. Girando per il Salento si vedono intere distese di piantine morte. Alcune organizzazioni hanno piantato filari di ulivi resistenti per accaparrarsi i finanziamenti pubblici e, dopo l’erogazione del denaro, hanno semplicemente smesso di irrigare gli ulivi, lasciandoli a deperire. La desertificazione del territorio è un problema enorme per le persone, per le piante e per gli animali: vivere in un territorio che fino a dieci anni fa era coperto per il 60% da ulivi e che oggi è totalmente spoglio è difficilissimo.
Come crede che l’epidemia da xylella possa aiutare il contrasto agli infestanti nel resto d’Italia?
In primo luogo, ci ha spinto ad aumentare la capacità di individuare gli infestanti prima che diventino un problema irreversibile. Sappiamo che il materiale vegetale si muove in tutto il mondo, perciò abbiamo capito l’importanza della prevenzione. Poi ci ha insegnato a dare ascolto alle voci autorevoli e ai ricercatori sul campo, mettendo da parte il ronzio della gente sui social network. Abbiamo capito che affidarci all’opinione pubblica è un sicuro viatico per la devastazione e che non dobbiamo metterci ciecamente nelle mani di un solo scienziato, ma ascoltare tutto ciò che la comunità ha da dire, dare peso al consenso generale. Un po’ come per il cambiamento climatico, insomma.
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