Il suono dei campanacci delle mandrie bovine e delle greggi di ovi-caprini che scendono lente e sicure dalle montagne regala un senso di pace a chi le osserva. E anche un po’ di nostalgia, perché vuol dire che l’estate volge al termine. Il riferimento è a una pratica antichissima, quella della transumanza, che dal 2019 è stata inserita dall’Unesco nella «Lista del patrimonio culturale immateriale». Si tratta della migrazione stagionale del bestiame con i pastori che dai pascoli in montagna si sposta verso la pianura per prepararsi all’inverno. La sopravvivenza di questa pratica millenaria è messa a dura prova da una serie di cambiamenti, primo fra tutti quello climatico.
La transumanza tra futuro e tradizione
I pastori stanno imparando a integrare strumenti innovativi, come la geolocalizzazione, con i saperi antichi.
Ne abbiamo parlato con il professore Luca Maria Battaglini, che insegna Etica e benessere animale e apicoltura all’Università di Torino: «La transumanza è una pratica secolare che permette di conoscere l’animale attraverso gli ambienti e le realtà che incontra, oltre che un modo per trasferire conoscenze – spiega il professore –. Le temperature sempre più alte e le stagioni sempre meno prevedibili stanno riducendo la disponibilità di acqua e di foraggio nei pascoli: in montagna l’assenza di neve in inverno compromette le riserve idriche necessarie nei mesi estivi, di conseguenza i prati diventano più secchi e meno produttivi».
A complicare il quadro si aggiunge l’insorgere di nuove malattie e parassiti, conseguenza di temperature più miti, che minacciano la salute del bestiame. «Questo fenomeno comporta non poche difficoltà nello spostamento delle mandrie e necessita di avere razze sempre più adattabili alle diverse condizioni». Le difficoltà non riguardano solo i pascoli, ma anche la domanda di mercato perché la promozione di un prodotto da pascolo è diventata sempre più sfidante: «La carne proveniente dagli animali allevati in transumanza, un tempo molto apprezzata, oggi incontra meno interesse tra i consumatori, spesso orientati verso prodotti più economici e standardizzati – prosegue Battaglini –. Per i pastori questo significa vedere ridotto il valore del proprio lavoro, nonostante la qualità e la sostenibilità dei metodi di allevamento».
Il ruolo della tecnologia
La tecnologia in questo senso può venire in aiuto offrendo tecniche innovative al comporto zootecnico: «I pastori stanno imparando a integrare strumenti innovativi con i saperi antichi della transumanza – aggiunge Battaglini –: un esempio sono i sistemi di geolocalizzazione per seguire gli spostamenti delle greggi, creare calendari di pascolo più precisi basati su dati climatici, o persino monitorare a distanza i percorsi grazie al supporto di satelliti. Queste tecnologie non sostituiscono l’esperienza diretta dei pastori, ma la affiancano, rendendo più sicura ed efficiente una pratica che continua a dipendere dall’osservazione del territorio e dal rispetto dei suoi cicli naturali. Non bisogna dimenticare, infatti, che ogni scelta deve considerare le conseguenze future sull’ambiente», conclude Battaglini.
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