Negli Stati Uniti lo chiamano kids rotting, letteralmente «far marcire» i ragazzini. Pare brutto, ma significa lasciare ai bambini ampi spazi di tempo libero, senza attività programmate. Possono rimanere a casa a ciondolare mentre gli adulti si fanno i fatti loro: lavorano al pc, puliscono casa, riorganizzano armadi e altre incombenze di scarso interesse. Oppure vanno dai nonni, senza che nemmeno qui ci sia nulla di “divertente” da fare: aiutano a preparare il pranzo, fanno il pisolino (o comunque stanno buoni mentre i nonni dormono), giocano a carte, compilano qualche pagina di compiti delle vacanze, guardano un po’ di tv (non satellitare). Massima botta di vita: il ghiacciolo in oratorio. Più o meno come ricordo le mie estati, ma avevo la fortuna di vivere in campagna e di poter stare fuori casa a giocare a nascondino con gli amici.
Un ritorno al passato
È fattibile riproporre questo modello? Dire addio ai costosissimi centri estivi? In parte sì, se i genitori riescono a gestire la loro presenza al lavoro, se i nonni sono un pochino disponibili. Anche auspicabile: lo diciamo sempre che la noia è importante, sarebbe pure ora di metterlo in pratica. Sono i bambini stessi a chiedercelo: mio figlio è terrorizzato che voglia iscriverlo a qualche “corso”. Guardiamo con interesse i bambini che fanno skateboard o imparano a tuffarsi, io non faccio in tempo a chiedergli: «Vorresti provare a…» che lui mi blocca subito: «Mi piace, sono bravi, ma mica voglio fare il corso!».
Il passato, però, non torna mai uguale: il pericolo maggiore è l’isolamento sociale, che la noia si trasformi in uno scroll senza fine sui social (uno dei motivi per cui sono una bacchettona che non vuole dare il telefono in mano ai figli prima delle superiori). Altro ostacolo: le famiglie sono diverse, le reti sociali sono diverse.
«Ai miei tempi» (e non ho 80 anni ma la metà) tante mamme erano a casa, e anche i bambini erano più liberi. La mia amica Luisa – la cui madre faceva il medico ed era sempre impegnatissima, come e più del padre – stava spesso a casa da sola. Tanto poi veniva a giocare da me, e mia madre (insegnante, a casa d’estate) ci avrebbe dato un’occhiata, ma senza badarci più di tanto. Funzionava così, non c’era l’assillo di beccarsi una denuncia per abbandono di minore. Già in quarta elementare ero abituata a tornare a casa da sola e scaldarmi il pranzo. Figurarsi se i bambini non potevano stare senza sorveglianza nei pomeriggi d’estate. Ora chi se la sentirebbe?
L’esperimento del cortile
La mia cara amica Emanuela, stufa di portare i figli ormai grandicelli al parco e lì mettere le tende, ha avuto un’idea che a me è parsa grandiosa: far tornare i bambini a giocare nel cortile del suo palazzo. Ha abbinato questa idea antica alla moderna tecnologia, creando una chat di genitori del condominio dove annunciare se qualche bambino stava scendendo a giocare, per essere sicuri di trovare compagnia. Così si sono strette nuove amicizie, si è ricreata la tanto decantata logica del villaggio (do un’occhiata dalla finestra e controllo che tutto sia ok, mi preoccupo del benessere dei bambini anche se non sono i miei), i ragazzini hanno potuto sperimentare margini di autonomia e di gioco libero, la mia amica – qualcuno la bollerà come menefreghista: pazienza, per me è un modello di vita - poteva rimanere serenamente in casa a lavorare al pc.
Un sogno durato due settimane, finché non è arrivata la mail dell’amministratore di condominio che vietava l’accesso ai bambini, ufficialmente per motivi di sicurezza, ufficiosamente perché qualche condomino se ne sarà lamentato.
Da soli è difficile
Il punto è proprio questo: non si può sperimentare un modello diverso di estate e farlo da soli. Anche ammesso di non lavorare a luglio e agosto (e quanti possono permettersi di non farlo?) stare a casa e gestire 24 ore su 24 i figli rischia di essere più stressante, per loro e per noi, di quanto non sia andare a lavorare e spedirli al Cre.
Che estate destrutturata è in un appartamento in città, con solo un parchetto spelacchiato raggiungibile a piedi, 40 gradi, le piscine che devi andarci con i mezzi e costano 20 euro a biglietto, nessuna rete sociale? Perché l’estate “libera” risulti almeno un pochino gradevole servono bambini e famiglie con cui fare gruppo, verde, posti per rinfrescarsi.
Le nostre città – lo dice il Rapporto di «Save the Children», non io – sono sempre più bollenti: a luglio 349mila bambini colpiti da temperature pari o superiori ai 40 gradi, tra aree verdi che scarseggiano e pochi spazi pubblici disponibili e fruibili, come le biblioteche. L’acqua, il verde e gli spazi sociali sono requisiti imprescindibili per rendere l’estate se non piacevole, almeno tollerabile.
Il problema di fondo, estate e inverno, è l’idea ormai universalmente affermata che i bambini debbano rimanere segregati in posti “da bambini”: la loro cameretta, la scuola, i giardinetti, i parchi gioco e le piscine a pagamento, il centro ricreativo estivo. Fine. Altrove disturbano, come nel cortile del condominio della mia amica, oppure «non sono posti per bambini ed è da egoisti portarceli». I genitori devono “organizzarsi” e non “pesare sulla collettività”. La soluzione è mettere l’aria condizionata in casa, pagarsi le rette del centro estivo («la scuola non è un parcheggio»), inventarsi mille modi per intrattenere i bambini per conto proprio o assumere chi lo faccia al posto nostro. La libertà non è pervenuta, figurarsi l’estate destrutturata.