93FE310D-CB37-4670-9E7A-E60EDBE81DAD Created with sketchtool.
< Home

Perché decidere di avere un figlio è molto più complesso di quanto sembri

Articolo. Da quando i bambini sono una scelta, e non più un destino biologico, dobbiamo capire se fanno per noi oppure no. Ma come si fa a decidere? Davvero non bisogna «pensarci troppo»?

Lettura 3 min.

Come si decide se fare o non fare un figlio? Non si tratta solo delle condizioni materiali che lo rendono fattibile, ma di una scelta intima e personale. C’è chi ha sempre saputo che avrebbe voluto diventare madre e chi ha sempre saputo il contrario. C’è chi ha cambiato idea, in un senso o nell’altro. E c’è chi un’idea – a 20, 30, 40 anni - non se la è ancora fatta, e spera di capirlo prima della menopausa. Fosse anche solo per poter dire: «Non ho fatto figli, per scelta» invece di: «È andata così».

Chi appartiene alle prime due categorie («voglio» e «non voglio») sa già tutto ciò che serve sapere. Per le altre non ci sono test attitudinali che tengano né amiche che possano dare consigli affidabili.

I pro e i contro

Seguire un approccio “utilitaristico”, cioè mettere oggettivamente sulla bilancia i pro e i contro dell’avere un bambino non funziona. O meglio, funziona se sappiamo già di non volere figli. Vi risparmio la fatica del conteggio: i contro saranno sempre maggiori dei pro. Fra i contro: i rischi per la salute. Cito in ordine sparso e per nulla esaustivo: diabete gestazionale, iperemesi, possibilità di aborto e parto prematuro, lesioni agli organi interni, rottura dell’utero, infezioni uterine, vescicali o renali, diastasi. Senza dimenticarsi chi deve affidarsi alla procreazione assistita: sindrome da iperstimolazione ovarica, gravidanze multiple, ansia e depressione che spesso accompagnano il fallimento di tali procedure. Non fatemi addentrare nelle fatiche dell’adozione o l’affido. E il bambino deve ancora arrivare: poi abbiamo collasso del pavimento pelvico, depressione post partum, privazione del sonno, ragadi, mastiti. E stiamo parlando di chi ha la fortuna (ricordiamocelo sempre) di avere un bambino sano. Non è sempre così, e se è vero che alcune disabilità si possono prevedere, altre no. Non ci sono garanzie. Aggiungiamo tutti i problemi finanziari e lavorativi, il rischio di povertà ed isolamento sociale, la solitudine, la dipendenza economica, le liste di attesa per gli asili nido, l’odio crescente nei confronti dei bambini e dei loro genitori.

Fra i pro: avere un bambino. Compensa tutto il resto? Avendo due figli dovrei rispondervi entusiasticamente «Sì, certo, prova anche tu!» come fosse la pubblicità del detersivo e io la testimonial che ne ha sperimentata l’efficacia. Oppure confessare, ora va di moda, anche se qualcuno che ne rimane scioccato c’è sempre: «Sono pentita, rivorrei la mia vita di prima». Ma nessuna delle due, per quanto mi riguarda, è una risposta onesta. È proprio la domanda di per sé a essere sbagliata: cosa vuol dire «ne vale la pena»? Da quale punto di vista? Esistenziale? Sociale? Religioso? Filosofico? Fiscale? Familiare? Biologico?

Un figlio non è un traguardo personale come l’acquisto di una casa o un lavoro migliore, è diverso. Da quando i figli non sono più forza lavoro gratuita per i campi o bastoni per la nostra vecchiaia è difficile dare loro un “prezzo”. Siamo tutti più che allenati a ragionare in termini utilitaristici, ma con i bambini non funziona. “Conviene” avere figli? Direi di no. La mia vita con loro è migliorata? A tratti sì, a tratti no, come tutte le vite. I miei li rifarei? Centomila volte sì.

Il dubbio

Avere dubbi è normale, non è il segno che si è inadatte o che non si vuole abbastanza diventare madri. Quante, oggi, sono in grado di abbracciare la maternità con una gioia senza riserve? Poche fortunate. Nessuna delle mie amiche, io meno di tutte. Quando siamo rimaste incinte non eravamo abbastanza giovani da agire con incoscienza, né abbastanza religiose da prendere alla lettera l’indicazione biblica «Crescete e moltiplicatevi», né abbastanza ricche da non porci il problema dei soldi e del lavoro né abbastanza condizionate dalla morale tradizionale per cui i figli si fanno e basta. Questo non ci ha rese madri peggiori delle nostre nonne.

Quando un’amica mi confida i suoi dubbi do per scontato che in lei ci sia una fiammella di desiderio. Per cui io non dico niente, non suggerisco niente, accolgo tutte le paure, ma tutto sommato spero che la fiammella divampi e si butti. Sì, come ci si butta dallo scivolo al parco acquatico, superando la paura e sperando che sia bello, o almeno di arrivare intere in fondo. No, non c’è un modo più “maturo” di affrontare la questione. Non ci sono risposte rassicuranti. Non ci sono garanzie. La convinzione una se la dà se riesce a darsela, come il coraggio di don Abbondio. «Potevi pensarci prima di fare figli» è la frase idiota che pronunciano gli sconosciuti davanti a una madre in difficoltà, senza sapere che ci abbiamo pensato fino alla nausea. Ci abbiamo pensato e ci siamo buttate, senza sapere quale carta avremmo pescato dal mazzo.

La pretesa che le madri siano convinte al cento per cento, indubitabilmente felici e pronte a tutto nel nome dei figli riflette più il bisogno del nostro bambino interiore che una considerazione adulta. Tutti desideriamo (e meriteremmo) di essere stati amati senza riserve, ed è proprio questo il dovere primigenio del genitore: accogliere e provvedere. E si riesce a farlo anche se prima si hanno avuti molti dubbi, in certi casi anche meglio rispetto a chi ha idealizzato la maternità.

Ribaltare la narrazione

Cosa ha spinto, me personalmente, a fare figli? Alcune circostanze favorevoli, come aver sposato un uomo portato per la paternità.

La curiosità e l’allegria, molto più delle pressioni sociali. E poi un sentimento di ribellione. Ci hanno venduto la maternità come una scelta conservativa, una roba da sciurette («mammine pancine» è l’orrendo neologismo ora di moda) senza altro scopo nella vita se non i loro mocciosetti (e comunque non li sanno educare), delle stupide che si occupano di facezie come il gender reveal o il corredino, e non vedono più in là del loro naso. Ma la maternità è sangue, fatica, lacrime e sudore, non è per deboli di cuore. La maternità è potenza creatrice, forza, orgoglio. È il desiderio di dare il proprio contributo al mondo anche in questo modo, impegnandosi a crescere le future generazioni e a esserne degni. Per questo mi sembra un peccato che le donne più consapevoli e intellettualmente attrezzate siano quelle che si fanno più problemi a procreare, anche se è piuttosto logico che sia così.

Approfondimenti