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I cinque spettacoli più interessanti che ho visto a Bergamo per la Capitale della Cultura

Articolo. Con questo articolo, non vogliamo tirare le somme, né fare la lista “dei migliori”, ma offrire una serie di consigli. Salvate l’articolo, segnatevi i nomi delle compagnie e dei festival che le hanno ospitate. Questi spettacoli meritano di essere visti

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Deserance, Circo Zoé (© Victor Delfim)

L’anno di Bergamo Brescia Capitale della Cultura si è concluso in grande stile, come era iniziato. I teatri sono stati riempiti, ma i numeri in questo articolo non si daranno, perché teatro pieno non significa (necessariamente) spettacolo bello e perché l’arte si alimenta con la ricerca, non con le classifiche. Certo, per chi lavora nel settore la visione non è proprio così romantica, ma queste righe si rivolgono a chi si siede dall’altra parte e voglio sperare che scelga cosa vedere in base all’istinto e a criteri personali, non per sold-out.

Questo articolo vuole essere un’occasione di spunto per riflettere su cosa sia definibile “buon lavoro” a teatro. Ho scelto di non tirare le somme, di non fare “la lista dei migliori”, ma di offrire un punto di vista – inevitabilmente soggettivo, sarebbe impossibile fare diversamente – sull’offerta culturale bergamasca dello scorso anno. Sebbene ne abbia visti a decine, in Italia e altrove, non è stato per niente difficile valutare quali siano stati i cinque spettacoli più interessanti che ho visto a Bergamo nel 2023.

I criteri per valutare cosa sia imperdibile sono numerosi e gli spettacoli di cui vi parlerò di seguito hanno dalla loro l’essere un insieme di strade che si intersecano e che arrivano al punto in modo tanto onesto quanto spiazzante. Il compito del teatro è raccontare la realtà con linguaggi surreali, ma anche di rappresentare la finzione con linguaggi attuali. Se quando ti alzi dalla sedia non te ne vai dalla sala portandoti via almeno una domanda, quello che hai visto non è stato un buon lavoro. Il teatro è fatto per pensare, non importa se alla riflessione ci si arriva con una risata o disagio: l’importante è interrogarsi, mentre si ascolta con tutto il corpo. Ma non basta: se questo fosse l’unico requisito si correrebbe il rischio di vedere e generare performance ruffiane, forti nel tocco emotivo, ma sostanzialmente incapaci di rimettere in discussione. Perché le domande suscitate continuino a operare nel nostro pensiero, anche quando siamo fermi nel traffico e pensiamo allo spettacolo visto la sera prima, o quando mesi dopo ne parliamo al bar. È necessaria la ricerca, come in qualsiasi altro campo. Per quanto possa sembrare semplice, un’idea funziona solo se è stata processata nei dovuti tempi, se ha scavato a fondo. Non di meno, per occupare bene un palco ci vuole tempo, studio, interesse verso l’esterno e una buona capacità di resistenza.

I titoli di seguito elencati non sono perciò una classifica, ma una serie di consigli in ordine sparso. Salvate l’articolo, segnatevi i nomi delle compagnie e dei festival che le hanno ospitate. Questi spettacoli meritano di essere visti. Sono opere molto diverse tra loro a prova del fatto che, come per la musica e per il cinema, la parola “teatro” contiene una complessità di generi e – di conseguenza – di gusti. Nonostante con il costo di certi biglietti vorrebbero farci credere il contrario, il teatro è di tutti e per tutti e così dev’essere per sempre. Smontiamo questo falso mito che lo associa ad una élite di esperti capaci di capire e torniamo a rivendicare una legittima opinione sull’offerta culturale.

«Gli anni», Marco D’Agostin

Quando ho visto questo spettacolo durante la scorsa edizione del «Festival Danza Estate», ho avuto la precisa e nitida sensazione di essere davanti a qualcosa di particolarmente buono, capace di raccontare immagini in modo essenziale, pur rompendo molte convenzioni narrative. Sicuramente uno dei migliori lavori presentati lo scorso anno, non solo in città. Lo confermano due «Premi Ubu» assegnati a dicembre: «Miglior spettacolo di Danza» e «Miglior interpretazione».

Lo spettacolo del coreografo Marco D’Agostin si plasma e prende forma con l’inconfondibile interpretazione della danzatrice Marta Ciappina. Scena scevra, solo alcuni oggetti/reperti. Elementi chiave di una generazione “di mezzo” che consentono lo zoom sulla storia personale della protagonista. La trama è di chi la racconta e Ciappina lo fa in un modo travolgente, convincendo fino all’ultimo secondo. Inizia tutto con la stessa tiritera con cui finisce, «gli anni» sono le altalene emotive tra ricordi, risate e groppi in gola sui quali l’interprete danza in modo disorganico e tecnicamente ineccepibile. All’inizio non si capisce dove andrà a parare e poi, quando lo capisci, ci si sente persi in quei riferimenti e aggrappati ai ricordi di una generazione. Lo zainetto giallo dell’Invicta, la precisa struttura delle cuffie del walkman, i video sgranati, le famiglie.

«Chiaroscuro», Piccolo Canto

L’ultimo lavoro della compagnia è anche il più maturo dal punto di vista tecnico. Debuttato pochi mesi fa all’interno del festival «deSidera», « Chiaroscuro » sembra il soddisfacente risultato di un percorso sulla ricerca della cifra. La compagnia Piccolo Canto è composta da cinque attrici – cantanti, che hanno fatto della voce il principale strumento di narrazione, sia solista che corale. Un progetto insolito e interessante, quello di accostare i canti polifonici al teatro contemporaneo, che sposta la dimensione dell’ascolto su altre frequenze.

In «Chiaroscuro» la storia drammaticamente attuale della pittrice Gentileschi si appoggia alla voce di ognuna, facendo emergere numerosi personaggi, con altrettante sfumature. Le cinque interpreti Francesca Cecala, Miriam Gotti, Barbara Menegardo, Ilaria Pezzera, Swewa Schneider hanno dalla loro caratteristiche vocali peculiari, in grado di rafforzare il livello tecnico e di muovere la macchina del tempo, dallo storico all’attuale, in modo convincente.

«Teatro Delusio», Familie Flöz

A volte capita che un moderno diventi un classico, finendo dritto nella categoria dei “nuovi classici”. È questo il caso di « Teatro Delusio », dove i berlinesi rodatissimi Familie Flöz uniscono l’umorismo, la poesia visiva e la maestria tecnica nel cambiare personaggi. Lo spettacolo è caratterizzato dalla mancanza di dialogo verbale; gli attori utilizzano esclusivamente il linguaggio corporeo, il mimo e le maschere per comunicare. La trama si svolge dietro le quinte di un teatro, rivelando la vita segreta degli attori mentre si preparano per una rappresentazione.

Gli spettatori hanno la possibilità di osservare i personaggi senza maschera – che però in realtà una maschera ce l’hanno ed è piuttosto espressiva – scoprendo i drammi personali che si svolgono dietro le quinte tra i lavoratori. Tra risate, critica e surrealismo, le maschere realizzate con grande attenzione ai dettagli consentono agli attori di trasformarsi, creando un gioco di identità decisamente emozionante.

«Gli altri», Kepler 452

Chi pensa che politica e teatro non debbano stare sulla stessa pagina pensa male. Kepler 452 ne è il brillante, oserei dire indispensabile, esempio. La compagnia bolognese nata nel 2015 basa il suo lavoro sulla ricerca, l’indagine, il reportage, creando un canale unico tra palco e vita reale in cui lo spettatore è portato, in ogni spettacolo, a fare i conti con vicende strettamente attuali. Esattamente per la ricerca, alla compagnia è stato assegnato il «Premio speciale UBU» durante l’ultima edizione.

Ospite a Bergamo nel 2023 con lo spettacolo « Gli altri. Indagine sui nuovissimi mostri », Nicola Borghesi, interprete solo, ci racconta fatti recenti di odio sociale e frustrazione riversata sui social, lasciando gli spettatori con l’amaro in bocca. Quell’amaro specifico di quando non vorresti mai che quello a cui stai assistendo sia reale, ma lo è, in tutto il suo orrore. Eppure «Gli altri» ci accompagna oltre i nostri limiti, se non a convincerci, almeno a chiederci fin dove possa avere legittima voce anche il mostruoso, senza per questo smettere di risultare tale ai nostri occhi.

«Deserance», Circo Zoé

Uno chapiteau montato in una delle aree più suggestive della città potrebbe già essere un buon punto di partenza per creare sensazioni positive, ma con Circo Zoé lo spettacolo inizia quando si varca la soglia della tenda. La compagnia gioca con l’energia e le suggestioni, prendendosi cura delle emozioni del pubblico sin dal momento di prendere posto in sala. Come si arriva al punto? Quando uno spettacolo può dirsi “pronto”?

Anche con « Deserance » l’indagine è al centro dell’opera, facendosi drammaturgia. In questo caso la ricerca è quella dell’artista stesso, che si mostra nudo nelle sue capacità, lasciando al singolo spettatore la responsabilità delle proprie reazioni. Un connubio di discipline – musica, danza, circo, opera – sapientemente dirette dagli stessi interpreti, per uno spettacolo di circo contemporaneo che riesce finalmente a dare un senso concreto al tanto abusato termine «multidisciplinarità».

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