La procedura di individuazione, analisi e bonifica dei siti contaminati è complessa e impegnativa sia dal punto di vista delle risorse che dei tempi necessari, anche perché, come fa notare Maria Teresa Cazzaniga, direttrice del Dipartimento di Bergamo di Arpa Lombardia, i valori delle concentrazioni di contaminanti «sono definiti solo a livello nazionale e non internazionale: non esiste una norma europea in materia di bonifica dei siti contaminati, come succede, invece, in altri ambiti legati alla protezione ambientale, come gli scarichi industriali o il monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee».
Come si individuano i siti inquinati
Cazzaniga (Dip. Bergamo di Arpa Lombardia) spiega la complessità dell’individuazione e bonifica dei siti contaminati, anche per mancanza di una norma europea che definisce i valori delle concentrazioni di contaminanti
Ma in che cosa consiste, di preciso, questa procedura?
«La procedura funziona in questo modo: prima di tutto, si fa un’indagine preliminare finalizzata a verificare i valori di concentrazione delle sostanze superiori a quelle di riferimento, in gergo tecnico Csc o Concentrazione soglia di contaminazione. Se si trovano valori più bassi, non si ha necessità di andare oltre. Se, invece, si trovano valori superiori, la norma prevede che si debba avviare il processo detto caratterizzazione del sito: un’indagine più accurata, fatta secondo un criterio statistico più forte. Quello che succede è che si individuano punti di prelievo secondo una maglia regolare, che indaghi anche in profondità e a distanza dalla sospetta sorgente di contaminazione. Si sottopongono quindi i campioni ad analisi e si ottengono valori da confrontare con quelli riportati nelle tabelle del Codice dell’ambiente. Se si rinvengono valori superiori, non è che il sito diventa in automatico contaminato: lo si definisce “potenzialmente contaminato”, perché le concentrazioni soglia sono quelle che attivano il campanello d’allarme, un sospetto che possa esserci un rischio nell’utilizzo di quel sito. A quel punto si attiva il procedimento di analisi di rischio: si analizza il rischio potenziale di utilizzo, che cambia in base a quello che ci si deve fare – una cantina? Un parcheggio? Un’area verde? – e alla sostanza contaminante: è una sostanza volatile? O magari una sostanza che rimane fissata al terreno e che può andare in falda con la pioggia? Se i campioni prelevati nel terreno o nelle falde acquifere rivelano valori al di sotto delle Concentrazioni soglia di rischio, Csr, il sito non è contaminato; viceversa è contaminato e si deve procedere alla bonifica».
Che cosa si intende per bonifica? Quali sono gli interventi più comuni?
«Le procedure di bonifica hanno come obiettivo il ripristino dello stato di non contaminazione. Pertanto non vuol dire che si rimuovono tutti gli inquinanti ma li si riporta al di sotto delle concentrazioni critiche, sia che riguardino il suolo, la parte superficiale, il sottosuolo, la parte più profonda, o le acque sotterranee. Per esempio, specialmente se si tratta di una contaminazione che riguarda la matrice terra, si asporta la parte contaminata e la si smaltisce o, se non è necessario scavare, si mette l’area in sicurezza con coperture permanenti che isolino la parte contaminata. Oppure, per una falda, si emunge l’acqua contaminata, la si fa passare da sistemi di depurazione e si può poi riutilizzare l’acqua all’interno del ciclo produttivo. Se si ha più tempo, si possono applicare interventi di fitodepurazione: ci sono piante in grado di catturare alcuni inquinanti e fissarle nell’impianto delle radici o nelle foglie. Questi ultimi sono interventi solitamente utilizzati per ripristinare un’area a uso verde e richiedono molto tempo».
Pochi i siti bonificati
Dall’analisi dei dati estratti da Arpa Lombardia da Agisco, l’Anagrafe e gestione integrata dei siti contaminati, emerge un dettaglio che balza subito all’occhio: il numero relativamente contenuto delle certificazioni rilasciate nel corso degli anni rispetto ai siti contaminati presenti sul territorio regionale: nel 2023, 102 siti certificati, ovvero bonificati con procedura di certificazione, rispetto a 1.114 siti contaminati. I dati degli anni precedenti rispecchiano percentuali relative molto simili, evidenziando una possibile complessità strutturale che non ha trovato nel tempo una soluzione adeguata.
Secondo Arpa Lombardia, la causa è da ricercare nella complessità degli interventi di bonifica, i cui tempi di realizzazione sono dovuti «al livello di responsabilità ambientale e alla capacità finanziaria degli operatori, nonché alle procedure operative e amministrative previste dal testo unico ambientale, strutturato secondo un processo piuttosto articolato». Aggiornamenti ai piani presentati e varianti ai progetti iniziali sono altre procedure che richiedono ulteriori valutazioni tecniche e procedure di approvazione da parte degli enti, contribuendo a rallentare la procedura.
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