La tutela dell’ambiente e l’amore per la natura sono intimamente legati alla dignità delle persone: una connessione espressa da Papa Francesco con il concetto di «ecologia integrale». L’obiettivo è lasciare il mondo in condizioni migliori di come l’abbiamo trovato: un impegno nelle possibilità di tutti, anche attraverso piccoli gesti come organizzare un campeggio estivo in montagna.
Vacanze in compagnia e nella natura al «Camping Mozzo»
Un’esperienza nata quarant’anni fa fatta di tende e cucina da campo, vita comunitaria, semplicità, canti e preghiere.
Il «Camping Mozzo» compie quarant’anni, nato dall’iniziativa di Giovanni Facchinetti, già impiegato alla Dalmine, appassionato di montagna, due figli: «Forte dell’esperienza all’oratorio di Ponte San Pietro – racconta Giovanni, oggi 74enne – ho pensato di organizzare un campeggio con un gruppo di amici». Cinque famiglie, con bambini piccoli, che decidono di trascorrere le vacanze insieme, prima a Carona, poi, divenuta inagibile l’area del ritrovo dopo l’alluvione del luglio 1987, a Schilpario nella valle del Vo’: «A questo punto eravamo più di trenta». Dopo un passaggio di tre anni a Lizzola, il gruppo si sposta in Val Masino, in provincia di Sondrio, per i successivi quattro anni. La continua crescita dei partecipanti e il desiderio di conoscere altri luoghi spingono il campeggio verso la nuova destinazione di Carisolo, in Val Rendena in Trentino: una località bellissima che, nel tempo, ha accolto più di cento partecipanti per ogni stagione. In un prato di 15.000 metri quadri, servito da un maso per appoggio logistico, locale dispensa e bagni con docce, il gruppo torna ogni estate, da 31 anni, con la precisa intenzione di permettere a chiunque di partecipare e prendersi un periodo di ferie nella natura, in compagnia. Due giorni per montare la cucina da campo e il tendone, sistemare i tavoli e le provviste, rifinire tutti i dettagli. Durante l’anno si ottengono i permessi necessari (Comune, Protezione Civile, Vigili del Fuoco), si rinnova il permesso di utilizzo del luogo. E poi, finalmente, arriva l’estate. Giovanni Facchinetti, con la moglie Ornella e alcuni amici «storici», per quattro settimane in agosto diventano il punto di riferimento per molte famiglie di Mozzo e del circondario ma anche da Padova.
Comunità e natura
Al «Camping Mozzo» si fa vita comunitaria: sveglia presto, colazione insieme sotto il tendone preparata dagli uomini nella cucina da campo, poi ogni famiglia torna alla propria tenda e sistema la sua «casa». Un ordine di servizio giornaliero distribuisce i compiti tra tutti i partecipanti. «Ci sono una quindicina di attività da svolgere», spiega Giovanni: c’è chi va a comprare il pane, chi cucina, chi prepara la tavola comune – i pasti si fanno sempre insieme –, chi sparecchia, chi lava i piatti. Ci sono i turni per pulire i bagni, così come per preparare i canti e le preghiere. Insomma, ognuno fa qualcosa, anche i bambini, che organizzano vere e proprie battute di raccolta della legna per il fuoco serale». Più o meno a giorni alterni si parte per le escursioni guidate dai partecipanti più appassionati ed esperti. Nei giorni di riposo ci si rilassa, non ci sono attività strutturate, i bambini giocano liberi: nel boschetto hanno costruito la «tana dei maschi» e la «casa delle femmine». Dopo pranzo è abitudine raccogliersi all’ombra di un grande frassino: qualcuno ne approfitta per schiacciare un pisolino, i più piccoli riposano in braccio alle mamme. La sera, si accende un grande falò con la legna raccolta nei boschi «che in questo modo aiutiamo a tenere puliti», dice Giovanni: si parla, ci si racconta, si canta, si prega. Si resta a guardare il fuoco sotto le stelle «contenti del poco». La tecnologia passa in secondo piano: il televisore è totalmente assente, il cellulare è utilizzato solo in rarissime occasioni e gli adolescenti non ne soffrono particolarmente. Sono proprio gli adolescenti la grande soddisfazione di Giovanni, i ragazzini che diventano grandi e chiedono di dormire in tenda da soli, che poi magari, ad un certo punto, spariscono e per qualche anno non si vedono, poi tornano, con gli amici o la fidanzata. E poi da adulti, con le loro famiglie e i bambini piccoli, a cui vogliono offrire la stessa bellissima esperienza di una vacanza in semplicità.
In 40 anni di vita, al Camping Mozzo sono passate, per un week end o per tutto il periodo, decine di famiglie, centinaia di persone, anche ragazzi con storie di fragilità alle spalle, facilmente integrati nella vita da grande famiglia del campeggio. «L’ospitalità è il nostro stile», osserva Ornella che, con il marito, si occupa dell’organizzazione logistica del campo. Nel 2003, Giovanni ha raccolto in un libro, «Amici miei», storie e volti di un’avventura che continua. A Natale è molto attesa la distribuzione del calendario con le più belle fotografie del campeggio precedente.
Parola alla volontaria
«Non sono tanto una volontaria quanto una fruitrice, che si gode questa esperienza meravigliosa», spiega Michela Milani. «Ci vado da quando avevo 12 anni: ora ne ho 51». Sposata, quattro figli, impiegata in una ditta artigiana, racconta: «Rappresento la seconda generazione. Mio figlio ha imparato a camminare lì, in riva al fiume ho allattato la mia bimba di 4 mesi». Forse la stessa scelta di avere una famiglia numerosa, ammette, è maturata alla luce dello stile di vita sperimentato negli anni al campeggio. «Punto di forza è la bellezza del luogo: un paradiso, con tutti gli elementi di una vacanza nella natura. Va bene per chi vuole staccare, perché vi si trovano molti posti tranquilli per riflettere. Ma si possono fare due passi con gli altri per confrontarsi e confidarsi. I bambini trovano il loro gruppo, costruiscono rifugi,”tane”, dighe sul fiume, c’è un grande prato, le stellate sono strepitose. È uno spazio rigenerante, dove incontri persone speciali e si creano legami profondi. Ognuno porta qualcosa di sé, le sue competenze: chi conosce i funghi, chi sa arrampicare…». «Il campeggio – continua Michela – diventa casa, in una dimensione comunitaria che fa famiglia: per creare quest’atmosfera di armonia, c’è un grande lavoro di tessitura dei rapporti, di accoglienza, di valorizzazione e non di giudizio. L’organizzazione è rodata, ci sono delle consuetudini che rassicurano. Ognuno ha il proprio ruolo, è subito invitato a dare una mano, a portare il proprio contributo»
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