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Indipendenza energetica e più trasporto pubblico

I progetti per città più connesse e sostenibili e libere dalle auto. Ecovillaggio: giù consumi e inquinamento con intelligenza artificiale e saggezza popolare. Mobilità con bus, treni, auto e biciclette condivise

Come sarà la città del futuro? Tra comunità «off-grid», cioè energeticamente indipendenti, nastri trasportatori per la micro-mobilità ed edifici modulari, «Future Urban Trends», l’evento internazionale a cura dell’organizzazione Stratosferica, ha portato a Torino le innovazioni e le tendenze che cambieranno il modo in cui penseremo, progetteremo, costruiremo e vivremo le città.

Il segreto? La pianificazione

Il nuovo urbanesimo partirà dalla progettazione delle città. L’americano James Ehrlich, fondatore della startup «ReGen Villages», ha portato a Torino il proprio progetto di «ecovillaggio futuristico», sviluppato insieme all’Università di Stanford. Si tratta di una revisione delle comunità «off-grid», il termine che definisce i villaggi autosufficienti, capaci di generare una quantità di energia sufficiente per il proprio fabbisogno. «ReGen Villages» vuole applicare questo concetto non solo ai nuovi insediamenti, ma anche alla costruzione di nuovi quartieri per le città. «Abbiamo realizzato un software, chiamato «villageOS» e ispirato alle reti fungine di micelio, che progetta le comunità autosufficienti. Sfruttiamo i dati ad accesso libero per incrociare moltissimi fattori – temperatura, precipitazioni, venti, topografia, traffico, stato degli edifici – e suggerire come ottimizzare i consumi e abbattere l’inquinamento», riporta Ehrlich. «VillageOS» sfrutta l’intelligenza artificiale per automatizzare la progettazione, ma la adatta sfruttando quella che viene definita «saggezza popolare»: «Usiamo le consultazioni con i cittadini per migliorare gli insediamenti: l’IA non crea da sola le città, ma permette di monitorarle costantemente».

Reti per l’intermodalità

Anche la francese Caroline Goulard, data journalist e ad di «Modality», si è focalizzata sulla pianificazione urbana, ma con un focus sul trasporto pubblico. «Il futuro della mobilità non saranno le auto volanti, né quelle energetiche. Saranno i bus, i treni, le auto condivise e il “bike sharing”. Per mettere al centro i mezzi pubblici, però, occorre progettare le reti per l’intermodalità». L’intermodalità è il trasferimento da un mezzo di trasporto all’altro: per anni, si è parlato di «conversione gomma-ferro» in riferimento agli interscambi tra treni e automobili. Oggi, questa definizione è limitante: l’intermodalità è il passaggio senza soluzione di continuità dall’auto all’autobus, al treno, al tram e alla mobilità leggera, per ridurre le emissioni e per rendere gli spostamenti più rapidi ed efficienti. «Per arrivare a questo traguardo, occorre armonizzare una quantità enorme di dati. “Modality” analizza i database degli operatori del trasporto pubblico, li sovrappone alle mappe e riprogetta le reti per favorire l’intermodalità e le connessioni con le strutture di richiamo», continua Goulard.

Tra i servizi offerti dall’azienda ci sono le cosiddette «mappe isocrone»: Bergamo ne ha già una, redatta dal progetto «Bike2UniBG», che indica quali parti della città possono essere raggiunte pedalando per 10, 15, 20 o 25 minuti dal centro. Nel nostro capoluogo manca ancora, però, una mappa incentrata sui mezzi di trasporto pubblico.

Revisione pedonale dei centri

La rivoluzione del trasporto pubblico potrebbe passare per una nuova forma di mobilità. I fratelli americani John e Matine Yuksel, amministratori delegati di «Beltways», hanno presentato dei nastri trasportatori pensati per le metropoli. «La nostra idea è semplice: vogliamo portare nelle città dei camminamenti assistiti per le passeggiate. Così incentiviamo la mobilità a piedi e il trasporto pubblico», ha riportato John Yuksel. La tecnologia di «Beltways» non è del tutto nuova: la base sono i nastri trasportatori degli aeroporti. La differenza è che quelli della startup americana sono modulari, possono curvarsi e raggiungono velocità che toccano i quindici chilometri orari. Secondo i fratelli Yuksel, i nastri potrebbero portare a una revisione pedonale dei centri storici. «Le auto non dovrebbero stare in città. Con «Beltways» forniamo un’alternativa altrettanto veloce, più sicura e con meno rischi di congestionamento. Nella nostra visione, i nastri potrebbero sostituire persino i bus e i tram, che potrebbero essere riprogettati per le distanze medio-lunghe».

Una soluzione che potrebbe riscuotere successo soprattutto negli Stati Uniti, dove le metropoli hanno una struttura a griglia. E in Europa? «Le città europee presentano più sfide. Ma i nostri studi preliminari hanno restituito dei buoni risultati», conferma John Yuksel.

Costruzioni verdi e su misura

Mobilità e pianificazione, però, non sono niente senza degli edifici sostenibili. Per l’inglese Alastair Parvin, il fondatore di WikiHouse, le case sono responsabili del 25% delle emissioni europee. Senza contare i problemi del settore delle costruzioni, come la scarsità di materiali, la lentezza dei cantieri, gli sforamenti del budget e l’assenza di manodopera. In Italia, tutto ciò si somma alla mancanza di suolo edificabile e al caro-affitti. Delle soluzioni, però, ci sono: «Abbiamo un progetto di edilizia sostenibile e modulare. Sfruttiamo materiali naturali e a basso impatto ambientale per la costruzione dei nostri “mattoni”, che in realtà sono delle strutture in legno riciclato che possono essere collegate tra loro per creare dei prefabbricati», spiega Parvin, che però ammette che «i prefabbricati sono ancora visti di cattivo occhio. Eppure, sono più ecologici ed efficienti delle case tradizionali».

WikiHouse non si limita a produrre edifici tutti uguali tra loro: al contrario, l’azienda ha realizzato una piattaforma sulla quale pubblica le schematiche dei suoi «mattoni», in modo che architetti, ingegneri e designer possano realizzare le proprie aggiunte. «È un po’ come giocare con i Lego, solo che qui c’è un grosso guadagno in termini di sostenibilità: un cantiere che si avvale delle nostre tecnologie emette sette tonnellate di CO, contro le 50 di uno tradizionale», conclude Parvin.

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