Chi emette i gas serra che inquinano l’atmosfera e alterano il clima? Di fronte a questa domanda, la maggior parte di noi pensa ai trasporti, all’industria, alla produzione di energia. C’è, però, un emettitore che spesso passa in sordina: la medicina. O meglio i sistemi sanitari: a livello globale, il loro impatto sulle emissioni è pari al 5,2% di tutti i gas climalteranti, di poco superiore a quello dei trasporti aerei.
Il settore sanitario inquina come gli aerei
L’ Asst «Papa Giovanni» e l’Istituto «Mario Negri» di Bergamo hanno redatto un manuale per ridurre l’impronta climatica del comparto. A incidere l’abuso di farmaci e antibiotici, le diete dei pazienti e le strutture ospedaliere datate.
Proprio per ridurre l’impronta ecologica dei servizi sanitari, l’Asst «Papa Giovanni XXIII» di Bergamo e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche «Mario Negri» hanno redatto il «Manuale per ridurre l’impronta climatica dei servizi sanitari». Ne abbiamo parlato con Gianluca Selvestrel, capo dell’unità di sostenibilità ambientale dell’Irccs «Mario Negri».
Qual è l’impatto sull’ambiente degli ospedali e dei sistemi sanitari?
«Parliamo di poco più del 5% di tutte le emissioni su scala globale ogni anno. Si tratta di una percentuale molto alta, che supera di poco quella di settori ritenuti altamente inquinanti, come i trasporti aerei. Le emissioni ospedaliere arrivano da molte fonti diverse. Il 20% circa dipende dalla produzione dei farmaci e dall’industria farmaceutica, dalla consegna dei medicinali e dal loro smaltimento. Un altro 14% deriva dal trasporto dei pazienti, dei medici e degli infermieri verso ambulatori, ospedali e altre strutture: sotto questo punto di vista, i teleconsulti e la telemedicina si stanno rivelando ottimi per ridurre l’impronta ecologica della sanità. Poi c’è un 6% legato all’alimentazione e alla dieta dei pazienti, mentre i rifiuti prodotti dalle strutture e l’utilizzo dei gas anestetici ammontano al 5% ciascuno».
Quali sono le cause delle emissioni così elevate del settore sanitario?
«Molte prescrizioni, come le radiografie e le risonanze magnetiche, sono sovra-utilizzate: vengono effettuate anche quando non servono. Lo stesso discorso vale per i farmaci, per i quali è necessario promuovere un utilizzo corretto e adeguato. L’abuso di farmaci è paragonabile a quello del cibo: un preoccupante fenomeno in crescita è quello della “politerapia”, per la quale un paziente su tre sopra ai 65 anni assume dieci o più farmaci al giorno. Con delle dosi simili i rischi non sono solo ambientali, ma anche per la salute individuale e per la spesa pubblica. Un discorso analogo vale per gli antibiotici: il loro abuso non è solo un problema ecologico, ma anche una piaga sanitaria, visto che favorisce lo sviluppo dell’antibiotico-resistenza nei batteri. Anche le diete dei pazienti hanno un peso sull’ambiente: occorre un ripensamento dei pasti che guardi alle catene del valore dell’agroalimentare, lavorando su diete che tengano in considerazione l’impatto ecologico del cibo e che prediligano fornitori locali».
Quali scelte possono compiere gli ospedali per ridurre l’inquinamento causato dai farmaci?
«Possono decidere di affidarsi ad aziende che hanno procedure “verdi” di gestione delle materie prime, di formulazione e di sintesi del farmaco. Possono anche rivolgersi a fornitori di materia prima che hanno ottenuto delle certificazioni verdi. Si tratta di creare una rete di “stakeholder” allineati sul percorso verso la transizione ecologica e che si sostengano a vicenda. In questo processo, agli ospedali spetta il compito di gestire i farmaci e la somministrazione nella maniera più adeguata possibile. Lo stesso compito spetta ai medici di base. Le strutture ospedaliere devono anche incrementare i loro processi di smaltimento e riciclo dei farmaci e degli scarti biologici dei pazienti, integrando le regole dell’economia circolare anche nella gestione di questi rifiuti speciali».
«In primo luogo, le emissioni ospedaliere dipendono dalle strutture in sé. Che spesso sono vecchie e hanno una gestione energetica antiquata: gli ospedali devono utilizzare macchinari che consumano molta elettricità, ma degli impianti carenti aumentano ulteriormente i consumi. Per risolvere il problema, occorre adottare una serie di accorgimenti sugli edifici: installare pannelli solari, sostituire le tecnologie di illuminazione con quelle a Led, affidarsi a forniture “verdi” di elettricità. È necessario che la transizione energetica entri anche nei reparti, insomma. Strutture a parte, il problema più pressante è quello dei gas anestetici».
Quali emissioni causano i gas anestetici?
«Gli anestetici hanno un grosso impatto ambientale. Uno in particolare, il desflurano, è così devastante da aver portato le autorità a metterlo al bando a partire dal 2026. Molte strutture ospedaliere, a partire da quelle di Bergamo, lo stanno sostituendo con il sevoflurano: si tratta di un processo imprescindibile per ridurre l’impatto ecologico della medicina. Ora, essendo presente una spinta regolatoria, moltissime strutture si adegueranno e ridurranno l’utilizzo di sostanze dannose per l’ambiente».
Come si innesta l’economia circolare nel lavoro di tutti i giorni degli ospedali?
«Il nostro istituto sta discutendo un progetto legato al materiale plastico insieme all’azienda che ci fornisce strumenti come le pipette per le analisi: vogliamo provare a riciclare questi oggetti, pulirli dagli eventuali scarti biologici e rimetterli in circolazione nei laboratori, riutilizzandoli per altre analisi. Anche a livello ospedaliero, c’è una costante ricerca di una maggiore circolarità economica, soprattutto nelle mense: la riduzione degli sprechi e del cibo in eccesso, insieme al corretto smaltimento degli scarti, può abbattere la nostra impronta ecologica. Le diete dei pazienti sono un fronte ancora aperto. Il nostro manuale consiglia l’utilizzo di prodotti locali e la riduzione del consumo di proteine di origine animale, che hanno un’impronta ambientale pesantissima: sommando produzione, lavorazione e trasporto, la produzione di un chilogrammo di carne rossa emette 60 chili di CO2 equivalente».
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