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I dieci anni dell’enciclica Laudato si’

L’intervista all’economista Leonardo Becchetti: «La crescita dei consumi non genera senso del vivere». La “ricca sobrietà” è il passaggio più illuminante: “meno è di più”.

È la seconda enciclica di Papa Francesco, la più ecologica della storia della Chiesa. Jorge Mario Bergoglio, morto il 21 aprile scorso, scrive la «Laudato si’» nel terzo anno di Pontificato. La firma il 24 maggio 2015, mentre il testo viene pubblicato il 18 giugno. Subito stupisce e subito inquieta molti, perché non è affatto un’enciclica verde. La parola «ecologia», quando compare nel titolo del capitolo IV, è seguita dall’aggettivo «integrale». È chiaro che Francesco intende lanciare un preciso messaggio di preoccupazione per la natura, ma anche per gli uomini, terre e persone maltrattate entrambe ed entrambe sfruttate. Chiede impegno per la «casa comune» e per l’accesso di tutti alle risorse del pianeta. Il primo bilancio della «Laudato si’» è fatto dallo stesso Papa Francesco otto anni dopo con un’esortazione apostolica, «Laudate Deum», una sorta di capitolo due dell’enciclica, dove annota che «non reagiamo abbastanza, poiché il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura». Oggi qual è il bilancio? Lo abbiamo chiesto al professor Leonardo Becchetti, economista non convenzionale, tra i più attenti analisti dell’economia di Francesco.

Professor Becchetti, che cosa ha imparato il mondo?

«L’enciclica è stata profetica. Papa Francesco nel 2015 ha affermato che bisognava uscire dalle fonti fossili progressivamente e senza indugi per risolvere la crisi climatica. Come è noto, infatti, l’impatto sul clima delle fonti fossili è da 100 a 200 volte superiore a quello delle rinnovabili. La Cop 28 del 2023 a Dubai ha fatto proprio questo invito, mettendo nel documento finale il riferimento all’esigenza del “transitioning away from fossil fuels” (allontanamento dai combustibili fossili, ndr). È un buon risultato per l’enciclica di Bergoglio».

E che cosa, invece, non ha imparato?

«Il rischio di un ritorno indietro sotto la spinta di Donald Trump con il suo folle slogan “drill, baby, drill”, trivella, ragazzo, trivella, è forte. Ma credo che le convenienze del mercato continuino a spingere in direzione delle rinnovabili. E lo si nota dal trend tuttora in calo dei prezzi dei pannelli solari e delle batterie. L’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, Irena, ci dice che lo scorso anno il 94% della nuova capacità installata nel mondo proviene da fonti rinnovabili».

Le encicliche sociali sono centrali per la Chiesa. Si può dire che Bergoglio ha chiuso il cerchio?

«Ogni enciclica rappresenta la riflessione della comunità credente e del Pontefice sulle “res novae”, cioè le cose nuove che accadono nel mondo. Non possiamo certo sapere che cosa Gesù pensasse di internet o dell’emergenza climatica e dobbiamo, pertanto, fare riferimento alle riflessioni delle encicliche che arrivano dopo che i fatti e le novità accadono. La “Rerum novarum” segna la nascita della dottrina sociale della Chiesa, che inizia la sua riflessione sul conflitto tra capitale e lavoro dopo la rivoluzione industriale. La grande novità della Laudato si’ è che è la prima enciclica a riflettere sulla questione climatica che prima, semplicemente, non esisteva»

Qual è l’apporto nuovo dell’enciclica di Francesco?

«Francesco si muove nel solco della dottrina sociale, che è quello di attualizzare e incarnare i grandi principi del primato della persona, del bene comune, della sussidiarietà, dell’opzione preferenziale per gli ultimi alle situazioni che mutano. Come sempre le encicliche vanno in profondità e identificano la radice dei disordini presenti in un’errata concezione e comportamento dell’umano per difetto o per una sorta di riduzionismo antropologico. In questo caso il problema nasce dal rapporto di dominio e non di armonia e sintonia con il creato. Papa Francesco sottolinea come questa distonia sia un boomerang. Senza qualità dell’aria, dei suoli e delle acque la vita umana sul pianeta è impossibile. L’attenzione all’ecosistema diventa, dunque, una questione di sopravvivenza».

Qual è l’argomento più originale?

«È quello che io chiamo della “ricca sobrietà”. Francesco sottolinea, in una serie di passaggi molto belli, che la crescita disordinata dei consumi rischia di diventare uno sfogo che non produce più ricchezza al senso del vivere e sottolinea che in molti casi “meno è di più”. Un’osservazione fulminante».

Dall’enciclica è nato il movimento «Economy of Francesco»: quale contributo ha dato finora?

«È un movimento di giovani generativi che provengono da tutti i Paesi del mondo e si propone di trovare risposte e soluzioni ai problemi del pianeta e della nostra società in direzione del bene comune, rispondendo a un appello fondamentale: “Generativi di tutto il mondo unitevi”. Si parte dall’analisi e dallo studio delle buone pratiche e si cerca di ragionare su nuove risposte».

Il mondo ha capito il punto centrale dell’enciclica, cioè il fatto che non ci sono crisi separate, ambientale e sociale, ma una un’unica crisi economica e culturale?

«”Il mondo ha capito” è una parola grossa… Diciamo che c’è una parte molto importante dell’umanità che ha compreso. Purtroppo, il consenso non è unanime e ancora molti interessi agiscono in direzione contraria. E neanche gli avvertimenti che ci arrivano periodicamente bastano. L’aumento delle temperature che ha superato lo scorso anno il grado e mezzo rispetto all’epoca preindustriale, cioè la soglia a cui saremmo dovuti arrivare a fine secolo, sta già producendo conseguenze negative sul piano ambientale e sociale con siccità, alluvioni ed eventi climatici estremi. L’Italia è al quinto posto nel mondo per costi delle conseguenze del riscaldamento climatico».

Un altro problema è il dominio assoluto della finanza. Come si può «rigenerare la finanza» secondo la Laudato si’?

«La finanza ha un ruolo positivo importante che non dobbiamo ignorare. È ciò che ci consente di vivere al di sopra delle possibilità del momento indebitandoci e ciò che fa incontrare chi ha idee ma non soldi con chi ha soldi ma non idee. Certo, stiamo osando sempre di più, esponendoci complessivamente con livelli di debito molto elevati, che devono essere finanziati e generano squilibri. Ma la finanza, in un certo senso, gioca anche un ruolo di sentinella ed è uno strumento che può correggere eccessi ed errori di leader, limitando la loro onnipotenza. Le esagerazioni di Trump in materia di dazi e conflitti commerciali si sono subito riflesse su un calo delle aspettative di profitto delle imprese e della Borsa, rendendo immediato e tangibile per il presidente americano il costo di quelle politiche».

Economia e ambiente: le ultime notizie dal mondo dicono che un abbraccio virtuoso sembra del tutto escluso. Invece come sarebbe possibile?

«È un’analisi troppo pessimista. Come dicevo, con il dato del 94% delle rinnovabili sui nuovi impianti, cittadini e imprese forniscono nuove opportunità e continuano silenziosamente a fare la loro rivoluzione, con effetti che si moltiplicano quando la politica è intelligentemente al loro fianco. Purtroppo, in molti Paesi non è così. Ma ci sono sorprese inattese. Sono rimasto colpito dal caso del Pakistan, che lo scorso anno ha installato il triplo di energia rinnovabile dell’Italia».

Un’economia a servizio della persona, argomento centrale della dottrina sociale della Chiesa: la vedremo mai?

«Qualcosa già esiste e prende forma in molte buone pratiche in giro per il Paese… Certo, manca, come si dice, la quadra complessiva, cioè la correzione delle diseguaglianze crescenti, che creano invece le premesse per populismi, complottismi e alimentano la sfiducia nelle istituzioni mettendo a rischio le stesse istituzioni».

È tornato Trump, che ha cancellato ogni riflessione sul cambiamento climatico ed esce per la seconda volta dall’accordo di Parigi. Quanto costerà al mondo la decisione del presidente Usa?

«Non c’è dubbio che il costo c’è. Però sotto gli alberi che cadono la foresta continua a crescere. Molte decisioni in materia di transizione ecologica sono prese a livello di Stati federali: quindi, neanche negli Usa la transizione si è fermata, con Texas e California che la guidano. Le rinnovabili sono convenienti economicamente: questa è una grande spinta. Infine, il passo indietro a livello federale degli Stati Uniti rende Europa e Cina leader della transizione».

Ma l’America sta facendo passi indietro?

«Molti elementi dicono che il cammino prosegue. Una delle cose più inquietanti della nuova amministrazione, invece, è il contrasto alla responsabilità sociale e ambientale d’impresa. Ma anch’esso ha paradossalmente innescano un fenomeno alla fine positivo, il green hushing, il silenzio verde, che è l’opposto del green washing, cioè il lavaggio verde, quando si vuole far credere di essere impegnati per l’ambiente molto di più di quanto accade in realtà. Oggi negli Stati Uniti si continua a fare la transizione perché conviene, ma in silenzio per evitare di attirare critiche da parte della nuova amministrazione».

Perché il capitalismo fatica a cambiare, cioè continua a guardare solo al profitto e non agli impatti sociali e ambientali delle sue scelte?

«Il sistema economico contiene già in sé tutti i germi del cambiamento. Moltissimi consumatori e risparmiatori votano col portafoglio guardando anche all’impatto socio-ambientale dei prodotti. Moltissimi imprenditori più ambiziosi cercano di abbinare impatto e profitto. Il dono, la gratuità, il civismo e la cittadinanza attiva sono principi in azione nelle nostre società. Il problema è la scala di questi fenomeni. Devono diventare più di massa e popolari per generare cambiamenti più profondi».

Che cosa può fare in questa direzione una nuova generazione di imprenditori e di politici? Insomma, c’è un piano B?

«Con un gruppo di amici e colleghi abbiamo preso un’iniziativa in tal senso, che abbiamo chiamato proprio piano B. Che non è un partito ma uno s-partito, che rimette al centro il tema dell’intelligenza relazionale e della fraternità. È un nuovo paradigma, che nei prossimi anni può contribuire ad affermare un nuovo modello orientato al bene comune».

Quale potrebbe essere l’agenda di un’economia «Bergoglio style»?

«Costruire bene comune a partire dal paradigma dell’economia civile, che punta su intelligenza relazionale, generatività, ricchezza di senso di vita, ruolo fondamentale della sussidiarietà e della cittadinanza attiva. Dall’applicazione di questi principi nascono tutte le risposte ai problemi specifici».

Però resta il problema di come intendere l’investimento. Una nuova visione con risultati migliori a vantaggio di tutti è possibile?

«Sì, ed è il voto col portafoglio, una leva che può cambiare il mondo. I cittadini di molti Paesi del mondo stanno protestando contro le politiche di Trump non comprando prodotti americani, la Tesla ha subito contraccolpi importanti dalla discesa in campo di Elon Musk. Anche le reazioni dei mercati finanziari alla guerra dei dazi sono segnali che oggi uno dei migliori elementi di contrappeso per l’equilibrio dei poteri in democrazia è proprio il voto col portafoglio».

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