Nell’omelia dei funerali, il cardinale Giovanni Battista Re ha ricordato che Papa Francesco «rivolgendosi agli uomini e alle donne di tutto il mondo, con la lettera enciclica Laudato si’ ha richiamato l’attenzione sui doveri e sulla corresponsabilità nei riguardi della casa comune». Il continuo invito alla conversione ecologica è stato un tratto distintivo del pontificato di Francesco: ne parliamo con un esperto, Simone Morandini, teologo e laureato in fisica.
Il magistero ecologico di Papa Francesco
Il teologo Simone Morandini: il suo insegnamento inizia già dalla scelta del nome del Santo di Assisi. «La Laudato si’ rilancia con forza il tema ambientale».
L’enciclica Laudato si’
«Il magistero ecologico di Bergoglio inizia all’atto della sua elezione del 13 marzo 2013 quando, nel motivare la scelta del nome di Francesco d’Assisi, così si esprime: “È per me l’uomo della povertà, l’uomo della pace, l’uomo che ama e custodisce il creato”. E nell’omelia programmatica del 19 marzo si riferisce ampiamente alla custodia del creato, citando ancora Francesco d’Assisi. Dopo un accenno nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium, arrivano la potenza dell’enciclica Laudato si’ sulla cura della casa comune nel 2015; nel 2020 l’esortazione Querida Amazonia, dove il terzo capitolo “Un sogno ecologico” è un testo molto fascinoso, poetico; nel 2023 l’esortazione Laudate Deum sulla crisi climatica. Poi ci sono gli interventi per la Giornata mondiale di preghiera per la cura del creato dell’1 settembre, istituita dallo stesso Papa Francesco nel 2015, e alle assemblee dell’Onu: il tema ecologico attraversa davvero il suo intero magistero.
Un magistero ecologico
Un mio studente dell’Istituto San Bernardino sta completando la tesi di licenza proprio sul magistero ecologico di Francesco post Laudato si’, perché c’è molto anche dopo la grande enciclica. Quanto ai contenuti, se ne può parlare per ore, perché le intuizioni sono numerose. Innanzitutto, la sottolineatura dell’urgenza di un’attenzione etica e politica per la terra, vista insieme come realtà da tutelare e come casa della vita, per la famiglia umana e, in particolare, per i poveri: “Ascoltare tanto il grido della terra quanto il grido dei poveri”. Userei l’etichetta di ecogiustizia per questa prima dimensione. La seconda è il fortissimo radicamento teologico del dato etico-politico: Francesco recupera, con un’intensità che mancava alla teologia del ’900 e, in parte, anche ai primi anni del nuovo millennio, la dimensione della confessione di Dio creatore come elemento qualificante della fede cristiana e accomunante con altre tradizioni religiose. Questo secondo elemento pone la custodia del creato come parte dell’esperienza di fede cristiana. Il terzo elemento è la declinazione di tutto il tema nel segno del dialogo: accanto all’idea di creazione, c’è quella di ecologia integrale, molto laica, priva di connotazioni religiose particolari, di cui Francesco si serve per esplicitare che cosa il discorso cristiano sulla creazione può significare».
Qual è la radice biblica del dovere della custodia del creato?
«Laudato si’ è un testo di spessore perché da un lato assume come centrale il secondo capitolo della Genesi, l’essere umano posto nel giardino perché lo coltivasse e lo custodisse. Un doppio ruolo: coltivare e quindi trasformare e innovare; custodire e quindi non distorcere e non depotenziare la vitalità. Questo è il punto centrale. Ma Francesco sottolinea come questo testo non sia un masso erratico, qualcosa di isolato nella Scrittura, ma si collochi in una traiettoria. La Bibbia è una costellazione di libri, è una parola plurale: in modo diverso, quasi tutti i libri della Bibbia si riferiscono a un essere umano saldamente radicato nella terra, all’interno di quella che Francesco ci insegna a guardare come comunità della creazione. Con lo sguardo di Francesco d’Assisi, appunto».
Ecco la relazione con l’insegnamento francescano.
«Davvero quando si leggono i testi di Francesco di Roma, come lo chiamava Leonardo Boff, ci si accorge che non ha usato Francesco d’Assisi semplicemente come un’immaginetta, un santino da appiccicare per renderli più accattivanti. Ma ha attinto in profondità elementi di pensiero, di spiritualità, di vissuto. Cioè questa idea di una lode nella quale l’essere umano si rivolge al Creatore ringraziando per i doni del creato, ma anche lodando insieme al creato stesso. Francesco di Roma impara da Francesco d’Assisi questo insegnamento e lo consegna al vissuto di tutta la Chiesa cattolica. Naturalmente, c’è chi al suo interno già viveva intensamente questa spiritualità: ora l’invito è a condividerla, a renderla un patrimonio di tutti».
Quali sono i precedenti sulla cura per il creato nel magistero dei papi predecessori?
«Laudato si’ risale fino a Giovanni XXIII, soprattutto per sottolineare l’universalità dell’indirizzo del testo: Papa Giovanni a tutti gli uomini di buona volontà, Francesco a ogni persona che abita sulla terra. E poi Paolo VI che, a partire dall’Octogesima adveniens del 1971, ha manifestato lo stupore per l’emergere del degrado ambientale: non è un tema centrale nel suo magistero, ma ci sono alcuni riferimenti. Diventa importante in Giovanni Paolo II che, tra l’altro, coltivava la passione per la natura, la montagna, lo sci. Il suo magistero è ricco in questo senso: il messaggio per la Giornata mondiale della pace del 1990 è stato il primo testo della Chiesa dedicato all’ecologia. Benedetto XVI l’ha ripreso vent’anni dopo con il messaggio per la Giornata del 2010. Entrambi i pontefici hanno riferimenti importanti, significativi, eticamente esigenti al tema della cura dell’ambiente. Francesco, all’interno di questo ricco retroterra, compie un salto di qualità, attingendo al magistero dei suoi predecessori ma anche – è un dato da sottolineare – all’ampia riflessione del mondo ecumenico. Da qui la citazione del patriarca ortodosso Bartolomeo, il riferimento non nominato ma chiarissimo al pensiero del teologo tedesco riformato Jürgen Moltmann, la citazione di Paul Ricoeur, filosofo francese e uomo di fede protestante. Il tutto evoca un’ecumene cristiana, che sulle questioni dell’ambiente ragiona dagli anni ’70 del secolo scorso. E poi ancora riferimenti alle pratiche ebraiche, al mondo musulmano. L’attenzione per l’oikos, la casa comune, si coniuga con quella per l’ecumene, la terra abitata».
Papa Francesco coglie la connessione tra la crisi ambientale e quella sociale, la cultura dello scarto.
«La cultura dello scarto definisce l’asimmetria nell’accesso alle risorse ambientali e nell’esposizione ai rischi. In Laudate Deum, in particolare, si percepisce davvero l’indignazione per un sistema economico in cui coloro che più avrebbero la possibilità di operare per contenere il cambiamento climatico si impegnano poco, lasciando più esposto chi, invece, ha ben poca responsabilità per il suo verificarsi. Contro questa situazione ha levato davvero con molta forza la sua voce, la sua indignazione, la sua chiamata. La Laudato si’ ha avuto un impatto significativo, dichiarato da numerosi protagonisti della Cop 21, la conferenza sul clima dell’Accordo di Parigi: quel risultato si deve anche al richiamo dell’enciclica. La Laudate Deum è stata meno efficace, anche se Francesco l’ha dedicata esplicitamente alla Cop di Dubai del 2023, in una fase in cui la comunità politica internazionale aveva altro in testa, essendo già in una fase di guerre».

La Laudate Deum è molto netta nella denuncia dell’emergenza: «Il mondo che ci accoglie si sta sgretolando e forse si sta avvicinando a un punto di rottura».
«Non c’è dubbio che un elemento di novità del magistero di Francesco rispetto ai suoi predecessori sia la sua percezione della gravità e della rilevanza della crisi ecologica, che nei predecessori era assai meno nitida. Probabilmente anche perché ha visto, in America Latina, che cosa significhino la deforestazione in Amazzonia, i problemi legati all’accesso all’acqua nella sua Argentina e nel vicino Cile. Aveva toccato con mano, e ha continuato a toccare con mano, come la crisi ambientale non sia solo una preoccupazione di pochi ambientalisti, ma tocchi davvero le persone. In profondità. E ne ha parlato».
Quali sono i frutti principali del suo magistero sulla cura della casa comune? Il Movimento Laudato si’ riunisce oltre 16.000 animatori, di cui 3.500 in Italia.
«Sono molti i frutti. Il Movimento Laudato si’ si pone come una sorta di espressione semiufficiale: lavora bene, con un’opera di sensibilizzazione e di formazione spirituale. In Italia, poi, abbiamo le Comunità Laudato si’ fondate dal vescovo di Verona, Domenico Pompili, e da Carlo Petrini, che pure hanno una presenza sul territorio e compiono un lavoro analogo. Non vorrei dimenticare la rete di formazione creata in Italia da Caritas, Focsiv e Fondazione Lanza sui temi ambientali, offrendo una diuturna opera di sensibilizzazione. Non legherei a un singolo soggetto, anche se significativo, la storia degli effetti del magistero di Francesco sulla cura della casa comune. Tra l’altro, ha avuto un forte impatto anche sul versante teologico: sul tema si sono rimoltiplicate le pubblicazioni, che avevano avuto già molta fortuna negli anni ’90 e si erano diradate. Gli ultimi anni hanno visto una fortissima ripresa anche in quest’ambito».
Oggi il cambiamento climatico è diventato un argomento tabù negli Stati Uniti di Trump, dov’è stato cancellato dalle emergenze nazionali e dai documenti governativi. L’Osservatorio di Pavia documenta che in Italia, rispetto al 2023, nel 2024 le notizie dedicate al clima hanno registrato un calo del 47% sui quotidiani e del 45% sui telegiornali.
«Certamente il tema è diventato scomodo ma non per questo è ignorato. Dipende. Assistiamo a un approccio davvero ideologico alla questione, proprio di chi ignora completamente non solo gli appelli dei soggetti moralmente qualificati come Francesco ma anche i dati della scienza, perché sul cambiamento climatico ormai non c’è più una reale discussione. Nessuno scienziato serio disconosce la sua esistenza o il fatto che sia un fenomeno antropico. Non parlarne, occultare i dati, far sparire le parole sono le massime espressioni di un’ideologia. Folle. Folle perché incapace di pensare il futuro, di essere lungimirante. L’ho chiamata ideologia, ma è semplicemente l’atteggiamento dello struzzo, che mette la testa sotto la sabbia pensando di porsi al riparo dai problemi».
Il nodo è la necessaria transizione ecologica, finita nel tritacarne del dibattito politico sempre più polarizzato. Oppure c’è anche un ritardo del mondo della cultura?
«Proprio a Bergamo, l’anno scorso, l’Associazione dei teologi moralisti ha tenuto il suo convegno sulla cura della casa comune. Era rivolto agli specialisti di formazione etica cattolica ma è una di quelle occasioni da cui poi i temi si diffondono. Sul piano educativo, sottolineo come ci siano soggetti importanti che compiono un lavoro serio, come l’ASviS, l’Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile di cui è co-fondatore e direttore scientifico il professor Enrico Giovannini: una rete che continua a mantenere tenacemente una voce, un’osservazione, anche dal punto di vista scientifico, su ciò che si fa e non si fa, su ciò che si potrebbe e si dovrebbe fare in quest’ambito. Certo, il dibattito politico in questo momento sta privilegiando in modo miope altre questioni. C’era un’immagine che girava durante il Covid, quella delle tre onde, la crisi sanitaria, la crisi economica, la crisi della guerra. Dietro, più lontana, meno visibile ma molto più alta, c’è la crisi ambientale pilotata dal cambiamento climatico».
In uno dei suoi ultimi libri, «Acqua», lei spiega come, nel tempo della crisi sociale e ambientale, l’antropocene, è essenziale ripensare l’acqua per ritrovarne la forza simbolica e la potenza vitale per lasciarci ispirare a nuovi stili di vita.
«Il testo prova a guardare all’acqua con un approccio marcatamente interdisciplinare. Da un lato, tratta una serie di questioni immediatamente legate alla dimensione ecologica, ai cambiamenti a cui va incontro l ’accessibilità dell’acqua in questa fase di mutamento climatico. Dall’altro, con uno sguardo all’indietro cerca di capire come il legame con l’acqua abbia influenzato le forme della civiltà umana sul piano dell’organizzazione sociale e su quello simbolico. Lo studio, congiungendo idee diverse, vuole contribuire a una c ultura dell’acqua in un tempo in cui essa, come molti altri universi ambientali, viene data per scontata, mentre è un bene prezioso, essenziale per la vita, da prendere in considerazione in tutto il suo spessore e da valorizzare appieno».
Possiamo definire Francesco il Papa del creato?
«Da un da un lato faccio resistenza perché Francesco è stato un innovatore potente su una varietà di piani. È stato certamente colui che si è lasciato ispirare dal Santo di Assisi per amare e custodire il creato. Al contempo, ha innovato in modo potente il modo in cui leggiamo il Vangelo e ne traiamo le conseguenze etiche anche su molti altri versanti. Usiamo pure un’etichetta del genere, ma non in senso riduttivo. Francesco è stato molto, molto di più. Proprio questa ricchezza, questa sua fedeltà al Vangelo da un lato e ai segni dei tempi dall’altro gli ha concesso di aprire piste che noi abbiamo potuto seguire con gioia, essendo potentemente stimolati da lui. Comunque, quello che lui ha riferito a Francesco d’Assisi, l’uomo che ama e custodisce il creato, mi sentirei di applicarlo a Francesco di Roma. Dieci anni fa la Laudato si’ ha rilanciato con forza il tema ambientale: è stato il documento pontificio che ha avuto la massima risonanza sia come numero di citazioni sui media sia come varietà di soggetti che vi si sono riferiti. Si pensi che “Nature” (una delle riviste scientifiche più antiche e prestigiose, ndr) ha dedicato un numero speciale alla Laudato si’: un fatto assolutamente inedito».
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