Non è un caso se la giornalista d’inchiesta Stefania Divertito, napoletana, specializzata in tematiche ambientali, già portavoce del ministro dell’Ambiente Sergio Costa e capo ufficio stampa del ministero dell’Ambiente nei governi Conte I, II e Draghi, ha strutturato il suo ultimo libro, «Uccidere la Natura» (il Saggiatore, 2025, pp. 218, euro 18), in quattro sezioni corrispondenti a «Acqua», «Aria», «Terra» e «Fuoco»: i quattro elementi che, secondo la Fisica aristotelica, combinandosi in varie quantità e modi, compongono tutti i corpi del mondo sublunare.
Perché è importante che venga riconosciuto il reato di ecocidio
In «Uccidere la Natura» Stefania Divertito lancia un grido d’allarme sui disastri ambientali. Una galleria degli orrori di cui acqua, aria, terra e fuoco sono vittime o conseguenza.
Pratiche devastanti
L’equilibrio naturale di questi elementi costitutivi, fondativi del nostro mondo è stato sconvolto dalle attività antropiche: ognuno di essi è stato inquinato, contaminato, fatto oggetto di attacchi indiscriminati, quando non francamente criminali; oppure, come il fuoco, ha attecchito oltre misura e con esiti funesti in conseguenza dei cambiamenti climatici. D’altro canto, diritto e politica in materia ambientale si sono mossi in modo troppo lento, inefficace, tiepido, intempestivo, del tutto inadeguato al tumultuoso e irrefrenabile procedere della crisi climatica e delle conseguenze delle attività inquinanti. «Uccidere la Natura» è un grido d’allarme, una denuncia di disastrosi «ecocidi», una galleria degli orrori di cui acqua, aria, terra e fuoco sono vittime o conseguenza: dagli 80 milioni di litri di defoliante che hanno contaminato oltre due milioni di ettari di vegetazione in Vietnam al disastro di Bhopal; dalle 53.000 tonnellate di plastica che finiscono ogni anno nel solo Mediterraneo alla siccità che affama quasi la metà della popolazione della Namibia; sino alle attualissime, ecologicamente devastanti pratiche della fratturazione idraulica per ricavare gas e petrolio dalle rocce o dell’estrazione mineraria in acque profonde.

Ma «Uccidere la Natura» è anche un saggio sul lento, impacciato, tentennante, carsico procedere di un quadro normativo cronicamente attardato rispetto all’emergenza, quando non sconfinante nell’assurdo. Il capitolo introduttivo ricostruisce, infatti, «La lunga strada della criminalizzazione dell’ecocidio»: le molte difficoltà, rallentamenti, omissioni, incertezze, moti oscillanti, un po’ avanti e un po’ indietro, che hanno segnato il percorso, a livello continentale e mondiale, del riconoscimento del crimine di «ecocidio».
Superare la frattura
«Questo libro», spiega l’autrice, «nasce da un desiderio di giustizia rispetto ai disastri ambientali e climatici. Credo moltissimo nella giustizia ambientale come strumento per ristabilire l’equilibrio dopo che si è formata la frattura tra l’essere umano e l’ambiente. Ho voluto raccontare questa frattura ma, allo stesso tempo, cercare di dare una speranza alle future generazioni, attraverso la formazione del reato penale internazionale di ecocidio. Se questo reato dovesse finalmente essere approvato, avrebbe una grande valenza deterrente rispetto agli inquinatori. Un po’ come è successo con la legge sugli ecoreati in Italia, che compie dieci anni proprio in questi giorni: Legambiente – conclude Stefania Divertito – ci dice che molte industrie hanno investito in sicurezza, per non incorrere in sanzioni. Se si riuscisse a imporre questo risultato a livello internazionale, ci sarebbe più speranza per le generazioni future».
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