Il cambiamento climatico ha un impatto diretto sull’agricoltura: le piogge sempre meno prevedibili, le siccità e le ondate di calore sempre più frequenti, le grandinate sempre più devastanti colpiscono duramente le coltivazioni di tutto il mondo. Quelle italiane (e bergamasche) non fanno eccezione, anzi.
Confagricoltura, resa dei campi ridotta fino alla metà
Il danno maggiore arriva dalle ondate di calore: le piante non crescono come devono. Grandinate, siccità, forti temporali mettono a rischio i raccolti delle aziende locali.
L’indice di vulnerabilità climatica stilato ogni anno dall’Università di Notre-Dame pone il nostro Paese in trentesima posizione nella scala di resistenza al cambiamento climatico, in linea con il resto d’Europa. Gli elementi dell’indice su cui il nostro Paese arranca – la produttività dei cereali e la capacità delle dighe – sono entrambi strettamente collegati all’agricoltura. Insomma: non siamo la nazione più vulnerabile al cambiamento climatico, ma non siamo nemmeno del tutto al sicuro. E i più esposti sono i nostri agricoltori. «Anche le realtà bergamasche sono colpite da tutti i fenomeni: periodi di siccità prolungati, ondate di calore, precipitazioni violente, grandinate», spiega Enzo Ferrazzoli, direttore di Confagricoltura Bergamo. «I danni più gravi riguardano le colture, con una riduzione della produttività dei raccolti e delle rese per le aziende in una percentuale compresa tra il 20% e il 50% rispetto alle previsioni. Si tratta di una forbice ampia, che dipende molto dal momento dell’anno in cui si verificano gli eventi e dalla loro intensità». I momenti più critici restano l’estate – quando le temperature aumentano e le riserve idriche calano – e la fine della primavera: «Alcune colture sono più vulnerabili tra maggio e giugno: questo vale per la frutta e le vigne, perché basta una grandinata o una gelata che colpisce i fiori per dire addio a un raccolto intero. Altre, come il mais, devono essere irrigate costantemente, perciò l’estate è critica. In alcuni casi, come l’orticoltura, un forte temporale autunnale che sradica una serra o un tunnel di ortaggi ha ripercussioni gravissime», continua Ferrazzoli.
Oscillazioni più ampie
Secondo il direttore di Confagricoltura, però, il danno maggiore arriva dalle ondate di calore: «Il caldo estremo riduce la produzione di biomassa: il ciclo del carbonio delle colture deve bilanciare l’eccesso di calore esterno, perciò le piante non crescono come dovrebbero. Il problema si potrebbe risolvere se ci fosse un apporto elevato di acqua, ma nei periodi siccitosi garantirlo è quasi impossibile». Anche in Italia l’aumento delle temperature va di pari passo con una maggiore erraticità del clima: «E un meteo instabile significa una resa irregolare delle colture. Fino a qualche anno fa, un agricoltore sapeva perfettamente quanto doveva investire per ottenere la produzione desiderata. Oggi è impossibile fare calcoli di questo tipo. La difficoltà nel prevedere le piogge e gli eventi estremi impatta moltissimo sul nostro lavoro. Non solo: queste oscillazioni sono sia meno prevedibili che più ampie rispetto al passato. Quando fa caldo le temperature sono davvero alte. E quando fa freddo sono davvero basse».
Nel 2024 record di pioggia
Nella Bergamasca, ricordano dall’associazione di categoria degli agricoltori, il cambiamento climatico è un fenomeno di grande attualità: l’aumento delle temperature, che si attesta intorno agli 1,5°C in più rispetto ai periodi pre-industriali, riguarda sia l’area orobica che, soprattutto, quella ai margini della Pianura Padana. Il maltempo di fine estate e inizio autunno, solo nel 2024, ha causato pesanti danni nella nostra provincia: l’area più colpita, negli scorsi mesi, è stata la Val Seriana, ma prima è toccato alla città di Bergamo e all’hinterland, e prima ancora alla pianura bergamasca. Il primo trimestre del 2024, con 471,6 millimetri medi di pioggia, è stato il più piovoso di sempre nella nostra provincia.
La soluzione genetica
Alcune soluzioni di adattamento ai problemi connessi al cambiamento climatico sono già al vaglio degli agricoltori. «Il nostro obiettivo è quello di mantenere bassi i prezzi e assicurare che i raccolti arrivino sani e salvi sulle tavole. È una questione di sicurezza alimentare, oltre che di mercato», conferma Enzo Ferrazzoli. Per il direttore di Confagricoltura Bergamo, in futuro dovremmo guardare alla modificazione genetica delle coltivazioni. Non necessariamente agli Ogm, bensì alla cosiddetta «evoluzione assistita»: «Le condizioni e le tecnologie per migliorare la genetica della produzione ci sono tutte. Grazie a questi strumenti possiamo predisporre delle piante, delle varietà e delle colture resistenti alle siccità e alle malattie fungine, ma anche capaci di mantenere alti livelli di produttività a prescindere dalle variazioni climatiche».

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L’evoluzione assistita potrebbe avere enormi implicazioni per il futuro dell’agricoltura: i geni che garantiscono la resilienza climatica , infatti, potrebbero essere innestati su piante come il mais, il riso e il frumento. La creazione di questi organismi non è del tutto artificiale: «Una parte umana c’è, questo è vero, ma non si tratta di creare piante nuove. Semplicemente, acceleriamo un processo che in natura richiederebbe molto più tempo. Ma è ovvio che, in un mondo dove le temperature sono più alte di uno o due gradi, anche le piante dovranno adattarsi. A volte ci vogliono quaranta o cinquant’anni perché un organismo vegetale si assesti alle mutate condizioni meteo, ma noi non abbiamo tutto questo tempo: le tecniche di evoluzione assista ci permettono di produrre rapidamente piante resistenti alla siccità e ai patogeni, riducendo la nostra dipendenza dall’acqua e dai fertilizzanti. Qualcuno ancora demonizza questi processi di miglioramento genetico, ma qui non si tratta di creare Ogm, a cui comunque siamo favorevoli: si tratta di risolvere un problema attuale riducendo l’impatto ambientale delle coltivazioni stesse», conclude Ferrazzoli.
«Il momento è già critico, perché il mercato ci richiede di garantire prezzi bassi e stabili, nonché forniture di qualità», conclude Ferrazzoli. «Se non dovessimo trovare delle soluzioni al cambiamento climatico o degli strumenti per mitigarlo, il nostro settore agricolo sarebbe a rischio».
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