Qualcosa si muove sul fronte del nucleare. Si fa strada l’ipotesi di reintrodurlo nel mix energetico nazionale. È un segnale la decisione della Banca Mondiale di riprendere a finanziare progetti legati all’energia nucleare, dopo il divieto di oltre dodici anni. E lo è anche la recente scelta del nostro Paese di tornare ad essere membro dell’Alleanza europea sul nucleare, al fianco di altri 12 Paesi pro-atomo, dopo che per diversi anni ne era all’interno solo in qualità di «osservatore». Secondo l’ingegnere Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e della rivista QualEnergia e sostenitore delle rinnovabili, «siamo di fronte a una fase di transizione».
Energia atomica in calo, boom di rinnovabili
Gianni Silvestrini: rappresentava il 17% dell’elettricità prodotta nel 1996 e ora è al 9,5%. L’aspetto critico è la finanziabilità: gli ultimi progetti sono falliti perché tempi e costi si sono moltiplicati. Una centrale in Italia al 2040 tecnicamente è fattibile, ma l’accettabilità sociale rimane un grosso problema.
Ingegnere Silvestrini, che cosa ne pensa delle decisioni di Banca Mondiale e del nostro Paese?
«Sì, c’è una ripresa dell’interesse a vari livelli. Ma, come si legge anche nell’ultimo rapporto di Banca d’Italia («L’atomo fuggente: analisi di un possibile ritorno al nucleare in Italia», giugno 2025, ndr) permane un certo scetticismo. L’aspetto critico è la finanziabilità: gli ultimi progetti delle centrali nucleari, in Europa e negli Stati Uniti, sono falliti perché hanno avuto tempi di costruzione che si sono prolungati per 15-18 anni e i costi si sono moltiplicati di 3-4 volte rispetto a quelli attesi. Nel frattempo si fa strada la scommessa degli Small Modular Reactors, Smr, per i quali si ridurrebbero i costi, anche se al momento non ne abbiamo alcuna prova. Il nucleare rappresentava il 17 per cento dell’elettricità prodotta nel mondo nel 1996 e ora è al 9,5%, al contrario delle fonti rinnovabili che, invece, sono esplose».
C’è chi sostiene che il ciclo di vita del nucleare è più sostenibile e rappresenterebbe una soluzione per tagliare le emissioni di CO2.
«Nel ciclo di vita sono molto più efficienti solare ed eolico, con una durata dai 25 ai 30 anni. Entrambi recuperano la CO2 emessa in fase di produzione nell’arco di 2-2,5 anni. A questo si aggiunge il contributo dei sistemi di accumulo. Anche l’Agenzia Internazionale dell’Energia, la Iea, inizialmente scettica, si è pronunciata decisamente a favore di solare ed eolico, spingendosi a definirle come regine delle tecnologie nei prossimi decenni per via dei costi bassissimi».
Come risponde a chi sostiene che senza nucleare non sarà possibile la transizione energetica?
«È un tema serio. Le fonti rinnovabili possono raggiungere livelli fino al 70-80 per cento. Germania, Spagna e Portogallo hanno numeri molto elevati: è vero, però, che l’ultimo miglio diventa più critico. La novità su cui stanno lavorando molti Paesi, come California e Germania, sono gli accumuli di lunga durata, cioè non batterie al litio ma sistemi che consentirebbero di accumulare energia per giorni o settimane. Se si riescono a ottenere risultati su questo fronte, si risolverebbero i problemi dell’intermittenza delle rinnovabili o, in Germania, della possibile assenza di sole e vento per un’intera settimana».
Secondo lei, potremo vedere una centrale nucleare in Italia entro il 2040?
«Tecnicamente è fattibile, ma l’accettabilità sociale sarà un grosso problema. Molto più delle resistenze che vediamo in alcune zone d’Italia, come in Sardegna, per le rinnovabili».
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