Le operazioni militari, come quelle che si susseguono in Ucraina e in Medio Oriente, hanno impatti molto pesanti sull’ambiente e sul clima, causando danni rilevanti agli ecosistemi e contribuendo all’aumento delle emissioni di gas serra. Le conseguenze sull’ambiente includono la deforestazione, l’inquinamento delle acque e del suolo, la distruzione delle infrastrutture, con effetti che possono persistere per decenni.
Guerre, sull’ambiente danni permanenti
e la tutela è oscurata
In Ucraina restano ordigni inesplosi e campi non più coltivabili.L’80% delle vittime delle mine dopo i conflitti sono civili. A Gaza servirà molto tempo perché torni abitabile. Attenzioni spostate dalla transizione ecologica al riarmo
Parliamo di guerre e ambiente con Maurizio Simoncelli, vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di Ricerche Internazionali Archivio Disarmo, storico ed esperto di geopolitica. «L’attenzione è giustamente rivolta agli effetti immediati dei bombardamenti e dei combattimenti sulle persone: i morti, i feriti, i mutilati. Le conseguenze sono molto pesanti anche sull’ambiente. In Ucraina, a Gaza e in altre parti del mondo i conflitti generano danni enormi. Le strutture abitative e fognarie sono distrutte, la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti non si effettuano più, ecosistemi, biodiversità, terreni agricoli sono devastati. I fenomeni di distruzione oltrepassano i conflitti stessi, proseguono nel tempo e possono diventare permanenti. Basti pensare a quanto succede in Ucraina ormai da tre anni e mezzo. Ci sono luoghi diventati impraticabili e campi non più coltivabili a causa delle mine disseminate e degli ordigni inesplosi. Lo Stato maggiore di un esercito redige una mappa dei territori minati: in Ucraina, come in molti altri casi, restano sconosciuti. Si scoprono quando i profughi tornano nelle proprie case. L’ottanta per cento delle vittime delle mine dopo la guerra sono civili. Circa il 5 per cento delle emissioni globali di gas serra proviene dalle forze armate. Il dato preciso non si conosce, perché negli accordi internazionali si è deciso di lasciare facoltà agli Stati di comunicare o no l’impronta ecologica dei propri eserciti. Nessuno lo fa più: non si sa esattamente quanto il comparto militare inquini. Un carro armato Abrams Usa, per esempio, consuma 4,5 litri di carburante per un chilometro».
Si possono quantificare i danni della guerra in Ucraina sull’ambiente?
«Ci sono stati 1.600 chilometri quadrati di boschi bruciati solo nel primo biennio della guerra. L’Ucraina era il granaio europeo: ora non lo è più. La Russia, non essendo parte della Convenzione di Ottawa, usa in modo massiccio le mine antiuomo. L’Ucraina ha annunciato, come risposta, il ritiro dalla Convenzione, così che userà le mine, fornite dagli Stati Uniti. Sono armi terribili in guerra e ancora più nel dopoguerra perché rendono impraticabili i territori. Le conseguenze si potranno quantificare solo quando sarà finalmente arrivato il momento della ricostruzione».
E a Gaza? Greenpeace stima che «sarà inabitabile per le prossime generazioni».
«La distruzione totale di intere città può inquinare enormemente. Sappiamo che in Italia le imprese edili devono smaltire correttamente i materiali di scarto. Pensiamo a quanto avviene, invece, a Gaza, rasa al suolo per la distruzione sistematica degli edifici. Anche lì sono state usate mine e bombe a grappolo. La metà di questi ordigni, per vari motivi, non esplode immediatamente. Il sistema fognario e il trattamento delle acque reflue sono distrutti. I corpi delle vittime, purtroppo, sono lasciati all’aria aperta. La contaminazione è totale. Sì, serviranno molti anni perché si possa riprendere una vita minimamente normale in quel territorio».
Quali conseguenze hanno avuto gli attacchi statunitensi ai siti nucleari iraniani?
«In guerra la prima vittima è la verità. Sembra però, sulla base delle informazioni in nostro possesso, che gli iraniani, temendo gli attacchi, avessero già spostato i materiali radioattivi. Anche in Ucraina i due contendenti si accusavano vicendevolmente di aver bombardato la centrale nucleare di Zaporizhzhia. Ma la centrale era già caduta sotto il controllo dei russi: non penso che la bombardino. Sappiamo bene che cosa un disastro nucleare significhi. A Fukushima, in Giappone, l’acqua servita per raffreddare il nocciolo fuso dei reattori distrutti è stata sversata nell’oceano, con tutte le conseguenze immaginabili. Questo incidente del 2011 è stato provocato dagli effetti congiunti del terremoto e dello tsunami, quello del 1986 a Chernobyl, in Ucraina, per l’imprevidenza umana. Ma ci rivelano anche i possibili effetti di attacchi militari».
Le guerre hanno un’altra conseguenza pesantissima per l’ambiente: ritardano la cooperazione internazionale necessaria per contrastare con decisione la crisi ecologica e climatica.
«Certo. Spostano risorse dalle politiche sociali e ambientali agli armamenti. Lo stiamo vedendo bene in Europa. Il Green deal, per il passaggio a un sistema produttivo più rispettoso dell’ambiente e tecnologicamente avanzato, è stato dimenticato. Ora si parla di ottocento miliardi per il riarmo. Tutte le attività belliche creano ulteriori danni. Le forze armate utilizzano fonti energetiche non rinnovabili, petrolio, gas, per i carri armati, gli aerei e così via, con danni immediati sul rispetto dell’ambiente e il contrasto ai cambiamenti climatici. La minaccia più grande, globale, vera, quella dei cambiamenti climatici, passa completamente in secondo piano rispetto alle guerre e ai piani di riarmo, anche nucleare».
Quali sono state nella storia recente le conseguenze più disastrose delle guerre per l’ambiente?
«In Italia bombe della seconda guerra mondiale sono ritrovate ancora oggi, dopo ottant’anni. Tempo fa ho conosciuto un giovane studente piemontese che, colpito dalle schegge di una bomba inesplosa, ha perso la vista e una mano: in Italia, un Paese catalogato come pulito dalla contaminazione delle armi. Pensiamo ai Paesi dove sono stati gettati milioni di mine. In Vietnam gli Stati Uniti hanno usato l’arma chimica: si stima che abbiano irrorato con 75 milioni di litri di erbicidi oltre due milioni di ettari di foreste, defoliandole e rendendole sterili. Nella Guerra del Golfo del 1991 si valuta che tra 480mila e 1.100mila metri cubi di petrolio furono fatti fuoriuscire dai pozzi dagli iracheni per contrastare le forze statunitensi. In Afghanistan si trovano ancora mine sovietiche per l’invasione di decine di anni fa. Gli esperti ci ricordano che le mine sono altamente pericolose anche dopo decenni. Anzi, se l’involucro si deteriora, lo sono ancora di più. La tecnologia, poi, ha pensato di sostituire i contenitori in metallo con quelli in plastica, così che ora le mine sono più difficili da rilevare con i metal detector. Oppure le schegge di plastica entrano nel corpo, così che è più arduo trovarle. È un esempio della ferocia umana».
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