La pescaia del Sebino rinascerà
Cinque isolette semi-sommerse

Avete presente quel sistema composto da centinaia di pali sbilenchi che spuntano dal Sebino tra Sarnico e Paratico? È la pescaia - ma qui lo chiamano «ol rèt» -, un antichissimo sistema di pesca composto da pali e nasse (i bertaéi), utilizzato fino alla morte degli ultimi pescatori, qualche decennio fa.

Un sistema semplicissimo, che per secoli aveva dato da vivere alla gente del lago: il pesce - le anguille, in particolare - veniva imprigionato dentro le reti disposte a imbuto, rette dai pali bianchi e azzurri. Quel che resta è lì, sotto gli occhi di chi vive tra Sarnico e Paratico, e di migliaia di turisti che qui sbarcano ogni anno. Un patrimonio di storia e radici che rischiava di andare perduto.

Qualche anno fa dalle colonne de «L’Eco» partì un appello per salvarlo. Raccolto: il Consorzio di gestione associata dei laghi d’Iseo, Endine e Moro, con un pool di enti capitanati dalla Comunità montana dei laghi, ha presentato giovedì 3 dicembre a Villongo un progetto da 850.000 euro - per metà finanziato dalla Fondazione Cariplo -, che in sostanza punta a ridare fiato al fondo del lago, ripristinando gli habitat di vita e riproduzione dei pesci e degli uccelli del Sebino. Con due grossi interventi - introdotti dal presidente della Comunità dei Laghi, Simone Scaburri, e dal progettista Roberto Bendotti, di Costa Volpino - che partiranno non appena il livello del lago lo consentirà, divisi tra i Comuni di Sarnico, Paratico e Iseo.

Il primo è localizzato nello specchio di lago davanti al Lido Nettuno di Sarnico e nell’area dei camping di Clusane, dove con chiatte e ruspe si dragherà il fondo del Sebino. Con il materiale di riporto verranno realizzate complessivamente cinque isole semi-sommerse (per «strutturarle» si utilizzeranno anche gli abeti di Natale senza radici, che quindi non si possono più trapiantare). Le isole saranno poi ricoperte da canneti e legnaie, habitat ideale per la vita e la riproduzione dell’ittiofauna, nome difficile per dire persici e coregoni, agoni, alborelle e tutti gli altri abitanti del lago. Le isole saranno belle da vedere e pure utili: faciliteranno il deflusso dell’acqua e quindi delle alghe, impedendo la loro marcescenza e le sgradevoli puzze che d’estate, quando il lago è basso, ammorbano le sponde.

Il secondo progetto è dedicato alla pescaia e al tratto finale del Sebino, che dopo il ponte di Sarnico diventa fiume Oglio. Anche qui prima possibile spunteranno chiatte e ruspe, anche qui verrà dragato il fondo con gli stessi obiettivi del primo intervento. Per quanto riguarda «ol rèt», i vecchi pali verranno sostituiti con altri più grossi, sempre in legno colorato a strisce bianche e azzurre. Saranno disposti ovviamente secondo la precisa geometria a imbuto del «rèt», con il beneplacito dell’ultimo discendente di generazioni di Buelli (Costanzo), che da metà ‘800 ne sono i proprietari (per chi volesse approfondire la storia dei diritti di pesca di Sarnico, c’è il preziosissimo volumetto di Giuseppe “Peppino” Bettera «Storie di pesca e di pescatori», nella collana dei «Quaderni della biblioteca di Sarnico»).

Accanto ai pali verranno ripiantate talee di salice, mentre tra uno e l’altro, fascine o legnaie dove persici e anguille (e tutti gli altri pesci) potranno deporre le uova. L’intervento nel Basso Sebino si completa con il dragaggio del fondo a monte e a valle del ponte che unisce Sarnico e Paratico: si porteranno via strati di fango, con l’obiettivo di facilitare lo scorrere del lago nel fiume.

«È un intervento – spiega il progettista Bendotti – probabilmente unico in Italia e tra i pochi in Europa», un maxi ripristino dell’ecosistema, con un occhio all’ambiente e l’altro al turismo che qui in fondo al lago è diventato il traino di un’economia per secoli legata alla pesca, per qualche decennio all’industria e ora decisamente al tempo libero. «Ol rèt» non servirà certo più a catturare i pesci, ma i turisti sì.

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