Archeologo dilettante di Stezzano
scopre antica civiltà in Indonesia

Sei splendide camere col tetto di mattoni, collegate tra loro da stretti corridoi, rimaste sepolte sette metri sotto terra per migliaia di anni e di cui le autorità locali non avevano mai avuto notizia. Al loro interno, decine e decine di strani manufatti in bronzo e ottone, soprattutto maschere e busti, che i test di termoluminescenza effettuati su terra di fusione e sui mattoni delle stanze fanno risalire al 1.000 avanti Cristo.

Non si sa se, come ipotizza il professor Agus Aris Munandan dell'università di Jakarta, questa scoperta potrebbe avere riportato alla luce addirittura la culla della civiltà asiatica, ma sicuramente quanto scoperto in Indonesia, nel sito chiamato Gua Made, sull'isola di Java, ha fatto affiorare una cultura sconosciuta, con la certezza che il sito archeologico possa essere molto più vasto.

E la cosa forse ancora più singolare è che l'autore della scoperta, lontana da clamori mediatici, non è affatto un archeologo ma un imprenditore e collezionista bergamasco di 67 anni, che solo dieci anni fa, quando questa straordinaria avventura ha iniziato a concretizzarsi, si è scoperto «archeologo per caso».

Lui è Anacleto Spazzapan, nativo di Luino (Varese) ma bergamasco d'azione fin da bambino: da 15 anni poi abita a Stezzano con la moglie e due figli di 14 e quattro anni. Geometra e designer di complementi d'arredo, Anacleto frequentava già l'Indonesia per la sua passione per la cultura, l'arte e l'antiquariato locale, ed è proprio acquistando un oggetto a Bali che è iniziato il tutto.

«Oltre dieci anni fa - racconta - durante un viaggio, mi si avvicinò un venditore proponendomi per pochi soldi l'acquisto di un manufatto formato da una testa con due volti contrapposti. Lo acquistai e nei mesi seguenti, sempre dallo stesso venditore, comprai altri oggetti, maschere e busti, sempre diversi tra loro e certamente non caratteristici dell'Indonesia, ma che mi affascinarono a tal punto da ritrovarmene collezionista».

Successivamente viene a sapere che tutti quegli oggetti provenivano da un bosco nella regione di Jomban, a est di Java, e riesce a farsi portare sul posto, dove viene invitato a scendere sottoterra in un buco profondo sette metri. Lì sotto si trovava una bellissima stanza alta quattro metri con un tetto in mattoni rossi disposti a piramide. I tombaroli del luogo avevano trovato all'interno queste opere in bronzo e ottone che vendevano ai turisti non pensando fossero di grande pregio e così antichi.

Ma oltre un anno dopo, Spazzapan fece eseguire delle analisi su uno dei mattoni che risultò avere 2.993 anni. «Denuncio allora la scoperta alle autorità indonesiane - continua - che mi comunicano di non essere a conoscenza del sito e, dopo il dovuto iter burocratico, vengo autorizzato a mie spese a fare una settimana di ricerche, che nel 2001 riporteranno alla luce una seconda stanza con all'interno una maschera. Poi tutto deve fermarsi, causa mancanza di fondi, per poi riprendere a più riprese dal 2005 al 2007. Questo grazie a un imprenditore bolognese, l'ingegner Paolo Bertuzzi, che pure lui aveva acquistato alcuni oggetti provenenti da Gua Made e che ha voluto finanziare gli ulteriori scavi».

«Grazie anche alle sue conoscenze politiche, ho potuto avere tutte le relative autorizzazioni e così abbiamo scoperto in tutto sei camere collegate tra loro con corridoi, e al loro interno altri oggetti. Gli scavi sono stati compiuti da uno staff di esperti e archeologi locali e italiani e tutte le opere rinvenute sono state lasciate al governo indonesiano: una quindicina si trovano al museo di Mojokerto, mentre sia io che l'ingegner Bertuzzi abbiamo dato la nostra disponibilità a cedere le nostre collezioni private, in tutto un centinaio di pezzi».

Secondo Anacleto, questi reperti potrebbero essere stati realizzati da un popolo cinese o mongolo (analizzando la conformazione dei volti delle maschere). Il mistero è però ancora fitto, ma ora, dopo uno stop forzato di un paio d'anni per la necessità di trovare finanziamenti, sembra che qualcosa si stia sbloccando.

«A luglio - spiega - porterò con me l'ingegnere bergamasco Diego Marsetti della ditta Ecogeo di via Fratelli Calvi, che ha a disposizione una innovativa strumentazione geofisica da lui stesso modificata, in grado di sondare il terreno in profondità e tracciare una mappa del territorio individuando la presenza di vani e vuoti con precisione. Sono infatti certo che là sotto ci siano molte altre stanze, perché si vede chiaramente che la galleria prosegue verso nord e verso sud».
 Stefano Bani

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