«Truffa all'Unione europea»
Per i Bellavita il pm chiede 17 anni

Otto anni e mezzo a testa per l'ex assessore provinciale al Bilancio di Forza Italia Gianpaolo Bellavita e per sua sorella Stefania. Con le richieste del pm Maria Cristina Rota, ha imboccato la dirittura d'arrivo il processo che li vede imputati di truffa all'Unione europea, fatturazioni false per evadere l'Iva, falso e altri reati. Un dibattimento che si regge su 30 capi di imputazione e che da qui alla Cassazione rischia la totale prescrizione (alcuni episodi sono già prescritti), dopo che da quasi 4 anni si celebra in tribunale, con udienze-repliche dovute alla mutamento della composizione del collegio giudicante.

L'inchiesta era partita nel 2003 e i due fratelli, titolari di due studi commercialisti a Bergamo e Martinengo, erano finiti sotto inchiesta con altre persone, le cui posizioni sono state stralciate. Caduta in udienza preliminare l'associazione per delinquere, il processo ai Bellavita si compone di vari filoni, fra cui quello siciliano che contempla la presunta truffa all'Ue. I due fratelli, secondo l'accusa, avrebbero utilizzato un'azienda di detergenti del Siracusano per fare la «cresta» sui finanziamenti (un milione e mezzo di euro) ricevuti da Bruxelles riguardanti l'acquisto di macchinari, spacciati come nuovi e invece acquistati da fallimenti e risultati - per il pm - obsoleti.

Un'operazione, ha sostenuto mercoledì l'accusa, architettata «al solo scopo di ottenere finanziamenti per le aree depresse», grazie ad «artifizi contabili». I Bellavita, inoltre, per il pm Rota sarebbero anche al centro di una fitta rete di società «cartiere», rette da «teste di legno» («persone anche pregiudicate che nulla capivano di gestione, ma che si sentivano gratificate dalla carica e dai compensi promessi»), per emettere fatturazioni fittizie utili a evadere le imposte.

L'accusa, oltre alla condanna dei fratelli, ha chiesto anche la trasmissione degli atti al pm per calunnia e oltraggio a magistrato in udienza nei confronti di Gianpaolo e del padre Giacomo. Riccardo Montagnoli, dell'avvocatura dello Stato, il legale che rappresenta come parti civili l'Agenzia delle Entrate e il ministero delle Attività produttive (che aveva girato il milione e mezzo di euro stanziati dalla Ue), ha chiesto un risarcimento di 12 milioni (6 di provvisionale) per la prima e un milione e mezzo per il secondo (800 mila euro di provvisionale). Punta invece alla prescrizione la difesa.

Martedì l'avvocato Andrea Belometti ha rimarcato, sentenza della Cassazione alla mano, «che le dichiarazioni dei testimoni convocati in aula solo per dire se confermano quanto reso nelle udienze davanti al vecchio collegio, sono inutilizzabili se qualcuno (come aveva vanamente fatto la difesa, ndr) si oppone». Il difensore, invocando l'assoluzione per i Bellavita, ha comunque sostenuto che quelli al Sud erano investimenti reali e non truffe. Quanto alle fatturazioni fittizie, era ovvio, per il legale, che si trovassero negli studi dei due fratelli, «che da commercialisti sono tenuti a registrare le fatture che i clienti gli portano. Il che non vuol dire che è stato il commercialista a emetterle». Sentenza prevista per il 12 maggio.

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