Serina piange Giovanni Bonaldi
«Grande amante del lavoro»

Il citofono che suona alle cinque del mattino. È stato così, con quel rumore a bucare il silenzio della notte, che a casa Bonaldi è stato chiaro che qualcosa di grave era appena accaduto. Erano i carabinieri, portavano la notizia dell'incidente. «Sono partita di corsa, con i miei figli, sono scesa in automobile al deposito della Sanpellegrino. Volevo capire cosa fosse successo davvero, volevo stare vicina al mio Giovanni», racconta la madre, Annamaria Carrara, con un filo di voce.

Siamo a Serina, dove vive la famiglia di Giovanni Bonaldi e dove lui stesso, che si era trasferito a San Pellegrino, veniva spessissimo ed era conosciuto. Qui la notizia della morte del camionista si è diffusa in un batter d'occhio, ed è stato un colpo durissimo. Molti non si capacitano della fine orrenda capitata a quest'uomo così amante del suo lavoro, così pieno di interessi. La salma è arrivata poco dopo le 13,30 di venerdì 17 settembre e la famiglia ha deciso di vegliarla nella casa dove lui era nato. Il via vai di parenti e amici è stato costante, tutti a voler porre il loro cordoglio a mamma Annamaria Carrara, ai fratelli Simona e Sergio Bonaldi, alla compagna Norma, con cui Giovanni aveva avuto 18 mesi fa il piccolo Nicola.

Giovanni Bonaldi viveva da tempo a San Pellegrino, ma spesso giungevano a Serina, soggiornando nella casa di papà Virginio Bonaldi – anche lui camionista, scomparso appena sette mesi fa – e della mamma. Una famiglia peraltro conosciutissima e stimata in tutta la Valle Brembana: fino a pochi anni fa, infatti, Annamaria, comunque aiutata dal marito, ha gestito l'Hotel Americana, ora guidato da Simona e da suo marito Alain Curti.

«Giovanni amava tantissimo il suo lavoro - raccontano i parenti -, ma anche lo sci e i motori. Non ci aspettavamo certo questa disgrazia. È stato un fulmine a ciel sereno, sentiremo la sua mancanza. Abbiamo perso un brav'uomo, un buon papà, un amico sincero». I funerali saranno celebrati domenica alle 15.

Per saperne di più leggi L'Eco di Bergamo del 18 settembre

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