L'accusa dei traumatizzati cranici:
«Siamo ignorati dalla ricerca»

Lo schianto, la corsa in ospedale, le cure mediche intensive per strappare il ferito grave, spesso giovane, alla morte: ore di angoscia per i parenti, giorni senza alcun segnale positivo, un coma che sembra eterno, poi la speranza, la promessa del ritorno alla vita. E qui comincia la battaglia: chi torna alla vita con una grave cerebrolesione acquisita, e con lui i suoi parenti, non sarà più lo stesso.

Ma soprattutto significa diventare, il malato e la sua famiglia, quasi dei fantasmi: non c'è ricerca, non c'è sostegno organizzato per questo esercito di ritornati alla vita. Stefano Pelliccioli, sa bene cosa significa: da lunghi anni assiste suo figlio Samuel, tornato alla vita dopo un incidente e il coma. Per il figlio, e per aiutare i tanti ragazzi come lui, ha fondato l'associazione «Amici di Samuel», che rientra nella Federazione nazionale associazioni trauma cranico (sono 26) di cui Pelliccioli è vicepresidente.

Sono tantissimi i traumatizzati cranici da incidente stradale (il 48,5% di tutte le gravi cerebrolesioni acquisite, una percentuale di molto inferiore a quella dovuta a ictus o gravi episodi cardiocircolatori), e la fascia d'età più colpita è tra i 16 e o 25 anni. Giovani come Samuel: ci sono tante altre storie, anche in Bergamasca. E mercoledì 6 ottobre alla Casa del Giovane, a partire dalle 9, nel corso del convegno della Federazione nazionale si svolgerà 1ª Giornata nazionale per le ricerca nelle gravi cerebrolesioni acquisite.

Leggi di più su «L'Eco di Bergamo» di mercoledì 6 ottobre.

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