La crisi: tra gennaio e settembre
2.387 nuovi disoccupati in città

Tra gennaio e settembre di quest’anno 2.387 cittadini residenti nel comune di Bergamo hanno dovuto smettere di lavorare. Fra loro, ancora oggi, quasi nessuno ha già trovato un altro impiego. È preoccupante il dato che emerge dall’analisi dei rapporti di lavoro cessati in città realizzata dal dipartimento del mercato del lavoro della Cgil di Bergamo.

E ancora più preoccupante è che i 2.387 sono singole persone, non contratti. Nel dettaglio, le cessazioni legate in qualche misura alla crisi sono più dell’80% (fine rapporto 71%, licenziamento per giustificato motivo oggettivo 7%, licenziamento collettivo 2,4%, modifica del termine 2,6%) e riguardano in maggioranza lavoratori con cittadinanza italiana.

Le donne sono i soggetti più colpiti: infatti, anche se fra i 2.387 cessati maschi e femmine sono equamente distribuiti al 51% e 49%, il fenomeno della disoccupazione colpisce in misura maggiore il gentil sesso perché le donne sono solo il 38% degli occupati (dato medio provinciale).

Tutto questo viene confermato anche dalla composizione degli iscritti alle liste di disponibilità presso i Centri per l’Impiego, nelle quali le femmine rappresentano il 57% degli inclusi. Per quanto riguarda l’età, più di un quarto dei cessati per la fine del rapporto di lavoro (il 26,7%), supera i 40 anni è ciò rappresenta un’obiettiva difficoltà nel trovare nuova occupazione.

Poco incoraggianti anche i dati che riguardano i giovani. Dai 20 ai 24 anni sono 264 (15,6%), da 25 a 29 anni sono 307 (18,6%). Lo studio della Cgil si concentra anche sul tipo di rapporto di lavoro di tutti i cessati: seppur in misura minore rispetto ai precari del tempo determinato (1.630 persone pari al 68,3%), la crisi colpisce anche le fasce più garantite del tempo indeterminato (328 pari al 13,7%).

Fra chi si trova senza lavoro in città non mancano nemmeno residenti di cittadinanza non italiana che sono ben 671 (quasi il 30%). Di questi gli immigrati extracomunitari sono il 15,4% dei cessati in linea con la percentuale degli avviati ma in forte calo rispetto al 2008. Dodici mesi fa gli avviati al Centro per l’impiego di Bergamo, infatti, erano il 21,2 %. Fra loro si registra una forte prevalenza di maschi (65,7%) che porta a conseguenze devastanti perché nella maggior parte dei casi il capofamiglia è l’unico lavoratore del nucleo familiare.

A questo proposito dagli sportelli della Cgil segnalano diversi casi di figli, che provengono da famiglie di immigrati, costretti improvvisamente a ritornare nel Paese d’origine dopo che si erano integrati in città: se il capofamiglia non lavora non riescono a tirare avanti.

«In città segnali di ripresa non se ne vedono - analizza Orazio Amboni del Dipartimento Welfare della Cgil Bergamo -. In questa realtà legata prevalentemente a consumi, negozi, e artigianato la situazione è allarmante. I 2.378 cessati sono persone fisiche individuate con il codice fiscale ed è importante specificare che, in questa cifra, le persone che hanno cessato più rapporti professionali sono stati conteggiati solo una volta. Considerato che in questo dato già di per sé elevato non sono compresi i soci lavoratori delle cooperative (per i quali non si parla di cessazione ma bensì di sospensione ndr) la situazione complessiva fa davvero riflettere. Questi ultimi, nella stragrande maggioranza dei casi, non godono di alcun ammortizzatore sociale e nemmeno possono esibire una lettera di licenziamento con la quale, ad esempio, accedere al contributo straordinario per gli affitti erogato dalla Regione. C’è bisogno che l’ombrello degli ammortizzatori sociali copra anche tutte queste persone che non arrivano nemmeno ai requisiti per la disoccupazione».

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