Delitto di Vertova, lunedì il Gip interrogherà il senegalese

VIDEOarresti_vertova.wmvIl capitano Giovanni Mura alla fine prova quasi tenerezza per l’uomo che per cinque settimane è stato il suo assillo: «Chissà, forse inconsciamente voleva essere catturato, forse si è abbandonato al suo destino: io sto qua, continuo a vivere come sempre, se venite a prendermi bene, se non ci riuscite meglio». Sì, dev’essere proprio che Alì Ndiogou, 40 anni, il senegalese di Gandino (ma la residenza è a Leffe) che da venerdì sera è in carcere con l’accusa di aver ucciso Maria Grazia Pezzoli a Vertova, abbia deciso di rassegnarsi, di chiudere gli occhi e aspettare, sperando di farla franca. Di non fare caso alle clamorose tracce che s’era lasciato alle spalle, né di dare un’occhiata davanti, al suo futuro di uomo libero che si stava terribilmente accorciando. Come se non guardare impedisse alle cose di accadere, come se fingere disinteresse intenerisse il fato. IL PRELIEVO DELLA SALIVANessuna fuga, un maldestro tentativo di sbarazzarsi di un lembo di pantalone intriso del sangue della vittima e delle foto del suo odiato ex datore di lavoro che s’è invece trasformato in una prova schiacciante nei suoi confronti. Stava fermo, mentre dietro di lui gli inquirenti avanzavano, saltando da una macchia di sangue a un’impronta, lungo un percorso tribolato, certo, ma alla fine premiato da un raffronto genetico al quale il senegalese s’era serenamente sottoposto una quindicina di giorni fa. Forse in quel momento s’era già arreso al corso degli eventi, Ndiogou, perché è impossibile che non avesse intuito la pericolosità del prelievo salivare che aveva affrontato con tanta tranquillità, è impossibile che - con tutti le fiction su Csi, Ris e le loro diavolerie di indagine scientifica che imperversano in tv - non si rendesse conto che anche un’impercettibile traccia ematica era in grado incastrarlo.GLI SCREZI CON BERNINIUn Pollicino del crimine, che s’è lasciato dietro prove come sassolini. Seguendoli, i carabinieri del reparto operativo di Bergamo e quelli della compagnia di Clusone, sono arrivati a lui, che pure fino a una quindicina di giorni fa era rimasto nel cono d’ombra. I militari lo hanno scovato spulciando le liste degli ex dipendenti di Giuseppe Bernini, l’imprenditore vertovese titolare con la moglie Maria Grazia della Val.Cop., una ditta di coperture metalliche in via Cinque Martiri. Hanno scoperto che dal 2000 al 2004 Ndiogou aveva lavorato alle sue dipendenze per poi essere licenziato dopo un infortunio in un cantiere del Padovano. Il senegalese diceva di avanzare un credito nei confronti dell’imprenditore, gli aveva fatto causa (il procedimento è tuttora in corso al tribunale civile di Bergamo). Mai nessuna violenza, però. Non come quel suo connazionale di Vertova, uno dei maggiori sospettati all’inizio dell’inchiesta, che con Bernini era venuto alle mani. Ndiogou i contenziosi aveva deciso di regolarli urbanamente, davanti a un giudice. Ma pur sempre di dissidi si trattava e alla fine hanno avuto comunque il potere di attirare l’attenzione di chi stava indagando. Ndiogou è stato convocato in caserma, sentito come persona informata sui fatti e sottoposto al prelievo di saliva e ai rilievi dattiloscopici come un altro centinaio di soggetti.I PANTALONI TROVATI AD ALBINOÈ stato da quel momento che per lui è cominciato il conto alla rovescia, rallentato solo dall’intasamento di materiale genetico giunto ai laboratori del Ris di Parma. Una volta in possesso del dna del senegalese, i militari del reparto di investigazioni scientifiche hanno iniziato i raffronti con le tracce lasciate dall’assassino. Positivo quello con le quattro macchioline di sangue perse dall’omicida nel tentativo di sfondare una finestra dell’abitazione dove si trovava Maria Grazia Pezzoli. Positivo quello con le tracce ematiche dell’autore del delitto scoperte all’interno della casa e vicino al cadavere; positivo anche al sangue misto con quello della vittima riscontrato su un fazzoletto di carta. E poi, il jolly che gli inquirenti avevano in mano dal 26 luglio, due giorni dopo il delitto, e che non hanno mai svelato. Un lembo di pantalone da uomo col sangue di Maria Grazia trovato in un’aiuola ad Albino, nei pressi del capolinea degli autobus, accanto ad alcune fototessera (con custodia) di Bernini e documenti tagliuzzati che erano stati rubati il 6 febbraio 2006 in un cantiere dall’auto dell’imprenditore (in quell’occasione erano spariti anche 250 euro e una carta di credito che l’autore del furto aveva tentato vanamente di usare). Sul brandello d’indumento è stato riscontrato il sudore di Ndiogou, su foto e documenti le sue impronte. Forse il senegalese aveva deciso di sbarazzarsene all’indomani del delitto per paura che lo incastrassero. Ma poi le acque sembravano essersi calmate, nessuno era venuto a bussare alla sua porta.I SOLDI CHE RITENEVA DOVUTILui, invece, secondo le accuse, il 24 luglio avrebbe suonato a quella di Maria Grazia Pezzoli probabilmente con l’intenzione di reclamare il denaro (poche migliaia di euro) che pensava gli fosse dovuto. Forse la donna, che era la contabile dell’azienda, l’ha trattato male e lui ha perso la testa. Non era andato per uccidere, lo conferma anche il pm Carmen Pugliese. Trenta coltellate e poi la fuga, che forse sotto sotto non è stata nemmeno una fuga, lasciandosi dietro una scia di tracce da Pollicino. Solo che più che in una fiaba eravamo dentro a un incubo.Il magistrato che ha coordinato le indagini, Carmen Pugliese (foto Bedolis)IN CARCERE SI DICHIARA INNOCENTE«L’ho visto abbastanza tranquillo, più meravigliato che affranto», rivela l’avvocato Fabrizio Fratus, il legale d’ufficio del senegalese che ieri mattina ha varcato la soglia di via Gleno per raccogliere la versione del suo assistito e approntare una strategia difensiva in vista dell’interrogatorio di convalida del fermo in programma domani.L’avvocato Fratus sabato mattina in carcere si è presentato con alcuni quotidiani sotto braccio. «Glieli ho fatti leggere perché si rendesse conto di che cosa gli viene contestato - dice -. Il mio assistito è caduto dalle nuvole. Mi ha ribadito che non capisce, che non si capacita, che non c’entra nulla con tutto questo. Sembrava anche un po’ risentito». «Ma come? - ha protestato il senegalese con il suo legale - Non sono fuggito, sono rimasto in Valle, mi sono sottoposto senza oppormi al prelievo di saliva, insomma, ho collaborato con i carabinieri: e per tutto questo sono in prigione?».Le stesse rimostranze che Alì Ndiogou deve aver opposto venerdì pomeriggio negli uffici del comando provinciale dell’Arma alle domande che qualche carabiniere gli poneva informalmente. Non un interrogatorio vero e proprio, visto che non era presente l’avvocato. «Mi ha anche raccontato del contenzioso che ha in corso con Giuseppe Bernini - spiega l’avvocato Fratus -. Contrariamente a quanto è emerso sui giornali e in tv, la causa civile va avanti da un anno a questa parte e quella in programma a ottobre è la terza udienza. La causa è contro Bernini e dunque il supposto rancore che hanno ipotizzato gli inquirenti avrebbe dovuto covarlo nei suoi confronti, non verso la moglie dell’imprenditore». Può darsi, ma come la mettiamo con i dati oggettivi di dna e impronte? «In queste ore studierò approfonditamente gli atti - risponde il legale -. Credo però che in questa vicenda ci siano alcuni lati che possono essere chiariti».LUNEDI’ NUOVO INTERROGATORIOCon lunedì 1° settembre proseguiranno gli interrogatori in carcere del presunto omicida: Il Gip incontrerà Alì Ndiogu che, in carcere, si dichiara innocente.Il giorno della tragediaLe indagini dei Ris di Parma (filmato)Una raffica di interrogatoriI funerali della vittimaLa svolta e l’arresto(31/08/2008)

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