Erede di esuli da tre generazioni
racconta il viaggio dei profughi di oggi

Le scarpe si tolgono alla fine di un viaggio. Ma ci sono viaggi che tardano a finire. Viaggi interminabili, in mezzo al pericolo e con la speranza di un mondo diverso negli occhi. Finiscono, ma non sono finiti.

Il viaggio che la parrocchia di Ponte Nossa in collaborazione con il Gruppo missionario e la biblioteca vuole raccontare con la mostra che si aprirà sabato 16 maggio alle 16,30 nello spazio espositivo ArteStudio Morandi di via San Bernardino sono dieci, cento, mille viaggi. Sono le storie dei profughi che incontriamo nelle nostre strade. «Pacem in... Migranti in terra di pace» nasce nell’ambito della festa parrocchiale dedicata a San Bernardino «uomo di pace e cultura» e proporrà ai visitatori 28 fotografie scelte tra le decine e decine di scatti «rubati» nell’ex Rsa di via Gleno a Bergamo e a Lizzola dove si trovano due gruppi di migranti provenienti dall’Africa e dall’Asia.

Dietro l’obiettivo, un’odontotecnica con la passione della fotografia, «ma, soprattutto, con il viaggio nel dna: sono figlia di emigranti da tre generazioni». Anna Mottes vive a Ponte Nossa come Daniel Cabrini, giovane neolaureato in Cooperazione internazionale, che ha curato le interviste proposte ai visitatori della mostra. Nei tratti, Anna tradisce le sue origini trentine. È da Rivamonte Agordino, nel Bellunese, che comincia la sua storia. «Mio nonno materno, Fioravante Fossen partì dal porto di Le Havre in Normandia nell’agosto del 1913.Mio nonno paterno, Agostino Mottes, lavorò in Argentina, Bulgaria a Somocat, Sardegna, Toscana e Bergamo. Mio padre in Belgio a Dour, in Sardegna nell’Iglesiente e Bergamo dove io sono nata e cresciuta. Ecco perché sono e resto bergamasca».

Un passo indietro di un’altra generazione e si risale al bisnonno materno di Anna: «Andò a lavorare in Francia come seggiolaio e sposò una francese di Besançon, la bisnonna Juliette Zabonil. Ritengo di avere un debito nei confronti di chi con tanti sacrifici cerca di riscattare la propria vita come migrante. Tutti hanno il diritto di poter scegliere un destino e una vita migliore», spiega la fotografa.

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