Unioni civili nello sgabuzzino
Il Tar dà torto al Comune di Stezzano

Con sentenza depositata giovedì 29 dicembre il Tar Lombardia, Sezione staccata di Brescia, ha annullato la delibera della Giunta del Comune di Stezzano del 27 settembre scorso, nella parte in cui aveva confinato la costituzione delle unioni civili nell’Ufficio dei Servizi demografici, escludendole dalla Sala di rappresentanza del Municipio deputata alla celebrazione dei matrimoni.

Ne danno notizia gli avvocati di “Avvocatura per i Diritti LGBTI - Rete Lenford”, Stefano Chinotti e Vincenzo Miri, insieme al prof. avv. Massimo Giavazzi. Potete leggere la sentenza a questo link. «La Sindaca del Comune di Stezzano si era dimostrata particolarmente pervicace, difendendo ripetutamente la delibera comunale e, da ultimo, modificando gli arredi di quell’Ufficio, pur di giustificare il proprio operato - si legge nel comunicato stampa -. Avvocatura per i diritti LGBTI - Rete Lenford è, così, scesa in campo, sollecitando una corretta applicazione del comma 20 della L. 76/2016, al fine di colmare il divario tra matrimonio e unione civile rispetto ai diritti e alle tutele previste per i due istituti e di limitare al massimo la possibilità che si ingenerino discriminazioni ai danni delle coppie formate da persone dello stesso sesso e dei loro figli, ricorrendo alla via giudiziaria ove tale sforzo non sortisca effetto. Questo, del resto, era l’impegno testualmente assunto nel «Documento programmatico» approvato a Venezia in data 8 ottobre 2016. Il T.A.R., «stante la obiettiva rilevanza della controversia» e la «peculiarità della questione trattata», ha deciso nel merito della domanda, non emettendo ordinanza cautelare ma procedendo direttamente con sentenza, e ha condannato il Comune al pagamento delle spese di lite per oltre 4.000,00 Euro.

«Per la prima volta - sottolineano gli avvocati S. Chinotti e V. Miri - una sentenza di merito, eliminando una discriminazione ideologicamente posta in essere da un Ente locale, offre una approfondita disamina del comma 20 della legge Cirinnà, statuendo che, per effetto di un processo di immediata eterointegrazione generato da quel comma, le disposizioni del regolamento comunale per la celebrazione dei matrimoni civili devono intendersi automaticamente valevoli e applicabili anche nel caso di celebrazione delle unioni civili».

«La sentenza è molto importante - aggiunge l’avv. Vincenzo Miri - perché, facendo proprie le argomentazioni formulate nel ricorso introduttivo, non solo riconosce che il comma 20 della l. 76/2016 riveste una automatica efficacia etero-integratrice delle norme “matrimoniali”, dovendosi intendere già prodotte e già vigenti, per l’unione civile, norme analoghe a quelle dettate per il matrimonio, ma stabilisce, accogliendo in pieno la tesi difensiva, che l’incipit del comma 20 (“Al solo fine di ….”) non può impedire la vis espansiva del comma 20 al momento genetico dell’unione civile, perché, altrimenti, si genererebbe un depotenziamento ontologico del nuovo istituto».

L’avv. Chinotti, inoltre, osserva che «il Collegio ha annullato la deliberazione anche nella parte in cui si è operata una preventiva e generalizzata autoesclusione del sindaco dalla costituzione delle unioni civili, chiarendo ancora una volta che nella legge Cirinnà non è prevista l’obiezione di coscienza e che non si può aggirare questa scelta nella fase attuativa della legge».

Gli avvocati Chinotti e Miri esprimono grande soddisfazione per un risultato giudiziario che restituisce dignità e decoro al riconoscimento pubblico della vita familiare delle coppie same sex ed esprimono un particolare ringraziamento alla prof.ssa Anna Lorenzetti e al prof. Giacomo Viggiani, entrambi aderenti di Rete Lenford, per il prezioso contributo offerto nella redazione del ricorso introduttivo.

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