«Lo confesso
sono cattolico»

Se finora l’idea di confessare qualsiasi cosa in famiglia, agli amici, ai superiori, al coniuge poteva essere fonte di stress e imbarazzo, ai giorni moderni, grazie all’ingresso e alla promozione nel vocabolario comune di termini da tutt’altro mutuati ecco che le cose assumono una nuova, accattivante prospettiva.

Non è più necessario abbassare gli occhi (e talvolta le orecchie), giocherellare con immaginari nodi di tessuto e sussurrare a mezza voce: «dovrei dire una cosa…». Mai più! Da oggi sguardo fiero, spalle dritte, petto in fuori e quattro paroline magiche: «Devo fare coming out!». Attimo di silenzio teatrale, immaginario rullo di tamburi e poi, con arrogante sicumera figlia del senso di orgoglio per la propria azione, sganciare la notizia-bomba. Qualunque essa sia.

Ecco, la prima considerazione da fare è che con questo esordio si rischiano di ottenere almeno due risultati opposti: o si producono tonfi a catena, provocati dalle sedie con corpi degli interlocutori inclusi, oppure sguardi perplessi e interrogativi: cos’è che devi fare tu? Eppure il bagno sai dov’è… Ma in seconda battuta non si può non notare che ciò che cambia non è solo l’oggetto della dichiarazione, quanto soprattutto il modo del verbo: da un esitante e ruffiano condizionale, espressione di ipotesi da verificare e comunque soggetta a interpretazione ritrattabile, a un sonoro indicativo, segno di tale certezza da sembrare un imperativo che, con buona pace di Kant, si vorrebbe categorico. Se poi alla fin fine semplicemente si tratti, come sorprendentemente riferito in questi giorni da un noto quotidiano, di comunicare la propria opzione vegetariana, beh, questo non è determinante. L’importante è poter annunciare imperturbabili una scelta, un fatto, una volontà incontrovertibili e così fortemente radicati nell’animo da potersi meritare l’onore di un’esternazione destinata a ben altre rivelazioni.

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