Gli studenti di Presezzo a Melfi
Incontro con i detenuti per mafia

Tutti in gita in un carcere di massima sicurezza. È l'avventura della classe IV B (ora quinta) del liceo socio-psico-pedagogico Betty Ambiveri di Presezzo, che lo scorso anno scolastico ha incontrato i detenuti della casa circondariale di Melfi.

Tutti in gita in un carcere di massima sicurezza. È l'avventura della classe IV B (ora quinta) del liceo socio-psico-pedagogico Betty Ambiveri di Presezzo, che lo scorso anno scolastico ha incontrato i detenuti della casa circondariale di Melfi, in Basilicata.

Da questa esperienza è nato uno spettacolo toccante, un modo per i ragazzi di condividere emozioni e insegnamenti perché, come dicono loro stessi dal palco, “anche un pluriergastolano può dare una lezione di vita”. La pièce teatrale, con letture, parti recitate, video e musica, è andata in scena sabato mattina nel grande auditorium del vicino istituto Maironi da Ponte, colmo per l'occasione di studenti, insegnanti e genitori.

Il carcere di Melfi non è paragonabile al Gleno di Bergamo, non ci sono delinquenti comuni, ma solo affiliati ad associazioni a delinquere. Mafiosi e camorristi con alle spalle stragi, omicidi, violenze di ogni tipo. Lo scorso aprile gli alunni della IV B hanno trascorso tre ore in loro compagnia, nella stessa stanza, parlando della loro vita in carcere e dei motivi che gli hanno condotti a commettere crimini gravissimi. Sul palco i ragazzi hanno riprodotto questo incontro, parlando della loro iniziale diffidenza, rotta dal detenuto che offre un bicchiere d'acqua a una ragazza agitata o da quello che chiede di poter toccare un euro, perché non ne ha mai visto uno.

Il progetto è partito dalla lettura di un libro, “Sangue mio” di Davide Ferrario, il racconto di un ex detenuto che accompagna in pellegrinaggio la figlia malata, vincitore della XXVII edizione del premio nazionale di narrativa Bergamo.

Dall'incontro dei ragazzi con lo scrittore, organizzato dalla docente di lettere Antonia Lamanna, è nata l'idea di occuparsi di temi carcerari, mentre con il professore di sociologia Federico Rho i ragazzi hanno parlato di istituzioni totali e mafia. Non a caso lo spettacolo si è aperto proprio con una citazione di Peppino Impastato, l'attivista e conduttore radiofonico, sempre molto amato dai giovani, ucciso per le sue denunce sulle attività della mafia in Sicilia.

“L'idea di portare i ragazzi in carcere mi è venuta perché una delle mie sorelle insegna ai detenuti di Melfi – spiega la professoressa Lamanna, ora trasferitasi proprio in Basilicata– Lo spettacolo è nato dopo, e già a giugno dell'anno scorso era stato sottoposto con successo al giudizio di altre due classi della scuola”. Anche i genitori sono stati molto collaborativi: “Mi ha catturato l'entusiasmo dimostrato da mia figlia –racconta Silvia Zappella- un detenuto, per quanti crimini abbia commesso, rimane una persona”. Altri, come Adriano Nava, sono più scettici: “Non riesco a entrare in sintonia con questi sentimenti di compassione, il ricordo delle stragi di mafia è troppo forte”.

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