Intervista ai Pali e Dispari

Intervista ai Pali e Dispari«Siamo arrivati in teatro, e vogliamo restarci a lungo» dichiara Marco. «Era un nostro grande desiderio», fa eco Angelo. E aggiunge: «Vorremmo mostrare che siamo Angelo e Marco, non solo Capsula e Nucleo».

I Pali e Dispari, alias Angelo Pisani e Marco Silvestri, sono fatti così. Parlano come Qui, Quo e Qua: l’uno completa il pensiero dell’altro. L’uno aiuta l’altro a tenere i piedi per terra. E tutti e due hanno voglia di mettersi alla prova e di crescere: «Siamo ancora giovani, abbiamo tutto il tempo», dicono in coro.

Così nasce «Siamo rimasti sotto», in cui presentano una galleria di personaggi più ampia. Con Capsula e Nucleo, i Pali e Dispari sono diventati un fenomeno giovanile. Viene il dubbio che, dopo qualche anno, l’etichetta cominci a star stretta: «No - spiega Marco - per niente. La televisione ha le sue regole e permette certe cose. Il teatro ne permette altre, per esempio di interagire diversamente con il pubblico».

Pochi secondi e riprende Marco: «Nei locali sei portato a puntare di più sul coinvolgimento degli spettatori, in televisione hai pochi secondi per catturare l’attenzione, in teatro puoi provare a lavorare su una storia e sulle sfumature. Farlo adesso è un’esigenza, senza rinnegare niente».

È un’esigenza comune a molti cabarettisti. Quasi che la televisione sia una gabbia. «Se lo è - commenta Marco - è una gabbia dorata. E il teatro può benissimo coesistere. Vorrei che fosse come in Francia, dove la gente va a teatro perché vuole vedere teatro, non perché ci sono i comici della televisione».

Il problema, va da sé, è come si intende il proprio lavoro: «Se - spiega Angelo - hai paura di non avere altro da dire, è ovvio che spingi su ciò che funziona. Noi preferiamo provare a maturare in modo diverso, anche perché sappiamo che il cabaret, come la vita, è ciclico. Il teatro ci può permettere di far emergere altri lati».

Già, il teatro. Ricorre molto nei pensieri dei due comici milanesi. È un desiderio, una palestra. E anche una fonte di ispirazione: «Personalmente - confessa Angelo - amo molto il teatro-danza e mi piace la comicità basata sull’uso del corpo. Per questo ammiro moltissimo Antonio Albanese».

E al di là del genere comico? «Mi piacciono Fabrizio Bentivoglio, Giancarlo Giannini e Carlo Cecchi. E poi Danio Manfredini: l’ho anche conosciuto, a un seminario, su consiglio di Albanese. È un vero maestro».

Marco predilige invece il teatro di strada, la clownerie, la capacità di un attore di inventare una situazione a partire da elementi semplici, da se stesso: «Posso fermarmi ore ad assistere a uno spettacolo di strada. Credo che lì ci sia una radice del teatro, come ricerca delle proprie risorse espressive. Ma ho ammirato anche Stomp: quando l’ho visto mi è cascata la mandibola sul pavimento!»

Lo spirito è lo stesso. I modelli sono attori che approfondiscono e ricercano le proprie chiavi espressive. Ma i gusti sono leggermente diversi: «Come - sorride Angelo - in mille altre cose. Marco ama il rock, io il jazz. Io leggo molto, lui divora i video-games ed è appassionato di computer, che io so a mala pena accendere. In tournée, lui è il tipo ordinato, che piega meticolosamente i suoi vestiti, io faccio una gran confusione». Essere una coppia comica, insomma, è prima di tutto essere una coppia: «È - sottolinea Marco - esattamente così. Bisogna imparare ad accettare le differenze, con l’aggravante che, quando sei fidanzato, magari pensi che starai con lei tutta la vita e sei più incline ai compromessi. Tra amici e colleghi no».

Le differenze, però, fanno bene anche in scena: «Io - conferma Marco - lavoro di più sulle pose, la battuta, Angelo sull’espressione corporea. In realtà ci integriamo: se lui per assurdo stesse fermo, mi muoverei io. Il fatto è che se entrambi accentuassimo i movimenti, alla gente verrebbe il mal di mare!».

Le differenze sono alla base anche dell’incontro dei Pali e Dispari: erano in due compagnie diverse che si ritrovavano sullo stesso piazzale, e poi in pizzeria: «C’era - racconta Angelo - una pedana per fare spettacolo, una sera ci sono salito e ho invitato Marco, con cui mi trovavo bene. È nato tutto da lì. Io, del resto, ho sempre voluto fare cabaret».

«Io invece volevo fare il dentista - ricorda Marco - La prima volta sono stato al gioco, la seconda volta, allo Scaldasole, lo volevo mandare a quel paese. Poi, mentre aspettavamo il nostro turno, mi è scattato qualcosa».

Era la molla del cabaret. Che non ha ancora esaurito la sua carica.

(28/02/2003)

Piergiorgio Nosari

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