Olmi critica la «Chiesa dell'ufficialità»
Caro regista, permetta il dissenso

Ermanno Olmi, il grande regista bergamasco, scrive ancora. Questa volta sceglie un interlocutore molto particolare: la Chiesa. E non una Chiesa qualsiasi, ma la Chiesa di Roma, la Chiesa cattolica. Che però viene bollata con una qualifica che è un atto d'accusa.

Ermanno Olmi, il grande regista bergamasco, scrive ancora. Questa volta sceglie un interlocutore molto particolare: la Chiesa. E non una Chiesa qualsiasi, ma la Chiesa di Roma, la Chiesa cattolica. Che però viene bollata con una qualifica che è un atto d'accusa: la Chiesa, infatti, dice Olmi, ha dimenticato Gesù («Lettera a una Chiesa che ha dimenticato Gesù», editore Piemme. Il libro è in libreria in questi giorni).

Titolo e libro, come è facile intuire, hanno fatto già discutere e, altrettanto facile da prevedere, faranno discutere ancora, anche a causa delle coincidenze di questi giorni, tra dimissioni del Papa e conclave. Si tratta della Chiesa cattolica, dunque.

Ma la domanda può essere facilmente rilanciata: di quale Chiesa cattolica si tratta? Quella di oggi, quella di ieri? Quella dei vertici, quella della base? E in che senso ha dimenticato Gesù? Ermanno Olmi parla della «Chiesa dell'ufficialità» e della Chiesa dei riti che, proprio perché troppo ufficiale e troppo legata ai riti, dimentica la vita concreta degli uomini e non fa più loro compagnia mentre attraversano le dure solitudini della vita.

La Chiesa ha concentrato le sue attenzioni su quello che non può rispondere alle grandi domande dell'uomo. Il denaro l'ha inquinata e continua a inquinarla. È talmente forte questa accusa che, mentre parla della Chiesa, Olmi si ritrova a parlare di ben altre chiese, quelle del potere, del denaro stesso, della politica. L'inquinamento della comunità dei credenti è tale che la Chiesa può essere descritta in termini di mondo e le consorterie del mondo possono essere descritte in termini di «chiesa».

Anche se poi l'autore non è completamente pessimista. Al di là di tutte le apparenze negative, alcuni buoni samaritani esistono anche oggi, cristiani generosi, gente di buona volontà, persone semplici che appartengono spesso ad altri tempi e a culture relegate ai margini. E la speranza, timida e incerta, sembra rinascere, nonostante tutto. Una buona Chiesa esiste da qualche parte, spesso nonostante la Chiesa.

A questo proposito, il regista dell'«Albero degli zoccoli» non rinuncia, neppure questa volta, a far coincidere questa speranza con ricordi e nostalgie. Olmi rievoca don Giacomo, prete che, molti anni fa, abitava a Sant'Egidio di Fontanella, vicino a Sotto il Monte. Olmi sostiene che don Giacomo venne sfrattato dalla Curia perché a Sant'Egidio doveva essere installato un Centro di ecumenismo.

Il buon prete, semplice, contadino e muratore, è buon prete proprio perché di altri tempi e diventa profeta proprio perché marginale. Solo che Olmi dimentica che il Centro di ecumenismo installato a Fontanella è legato alla figura di padre Turoldo, che l'autore cita poco dopo come figura luminosa e profetica. Non sembra notare la contraddizione fra i due «profeti» e la stranezza che lo sfratto dell'uno è causato dall'insediamento dell'altro.

La lettera di Ermanno Olmi è dunque il racconto della delusione che la Chiesa reale provoca di fronte a una Chiesa sognata. Capita spesso. Questa, anzi, è la letteratura corrente sulla Chiesa. Siccome la Chiesa reale è vista molto lontana da quella sognata, i più grandi sognatori, Ermanno Olmi e molti altri con lui, sono anche i più grandi delusi.

La caratteristica dei sognatori delusi - di molti di loro perlomeno - è che essi vedono la Chiesa da fuori. E si capisce. Anzi, più la delusione è grande e più grande è la distanza che essi mettono fra sé e la Chiesa. Chiedono alla Chiesa quella grandezza che essa non è in grado di dare. E quella mancanza giustifica la loro estraneità.

Dall'amarezza di questa delusione nasce per forza la domanda: quale è - quale deve essere - la forza della Chiesa? Che cosa dovrebbe fare la Chiesa che invece non fa? Per Olmi sembra che la Chiesa è forte solo se dà: dà compagnia, vicinanza, assistenza. La Chiesa crocerossina del mondo, vicina alle sofferenze nuove e antiche degli uomini. La prospettiva della fede è un'altra: la forza della Chiesa non sta in quello che dà, ma in quello che riceve. E, anche quando dà, dà solo perché, prima, ha ricevuto.

È il punto di vista della fede, di chi sta dentro la Chiesa. Si potrebbe anche dire che è il punto di vista della grazia. È singolare, ma coerente con tutto quello che dice, il fatto che Olmi citi i riti cristiani come una colpa: la Chiesa dei riti è la negazione della Chiesa: «Cara Chiesa, chi sono quei personaggi paludati che avanzano altezzosi verso gli altari del tuo Dio e precedono le moltitudini degli umili e degli esiliati?». Certo, se i riti sono celebrazioni morte - come certamente ce ne sono nella Chiesa - d'accordo. Ma che cosa sarebbe la Chiesa senza l'Eucaristia?

Era quasi inevitabile. Di fronte a una Chiesa che delude perché «ha dimenticato Gesù», anche Olmi immagina che Gesù stesso torni, naturalmente a giudicare la Chiesa. Idea antica, nobilitata da testi celebri, primo fra tutti la celeberrima «Leggenda del Grande inquisitore» di Dostoevskij. La scena finale del libro immagina, infatti, che al balcone di San Pietro, di fronte alla piazza gremita, si affaccia non il Papa, ma «Lui».

È tornato, come aveva promesso. E si impegna a cacciare, ancora una volta, i venditori dal tempio: «Ancora una volta li scaccerò. Non fate della casa del Padre una bottega. Distruggete questo tempio e, come allora, in tre giorni risorgerà dentro di voi». La data che chiude il libro, subito dopo l'atto d'accusa di Gesù, è il 17 gennaio 2013.

Meno di un mese dopo, l'11 febbraio, Papa Ratzinger si dimetteva. Il Papa vecchio e debole che riconosce la sua debolezza non dà precisamente l'impressione di essere il grande inquisitore. E tanto meno il capobottega di una Chiesa diventata mercato. Ma questo, per la verità, era possibile vederlo anche prima dell'11 febbraio. Solo che, per riuscirci sarebbe stato necessario assumere il punto di vista della grazia, capace di vedere il male, certo, ma anche di perdonare. È un colpo d'occhio molto particolare. Mi pare proprio che non sia quello di Ermanno Olmi.

Alberto Carrara

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