Il «Mal d’Africa» di Giorgio Oprandi in mostra

A bordo della sua originale «casa viaggiante», abbigliato più da esploratore che da pittore, Giorgio Oprandi (1883-1962) andava a caccia di albe, tramonti, panorami, nelle lande desertiche del Nord Africa; e quando il momento o il paesaggio gli toccava il cuore si fermava, montava il cavalletto, vi appoggiava il fucile e cominciava a dipingere. Solo, con il proprio sguardo e il silenzio, a spaziare su immensi orizzonti, pronto a trasferire sulla tela la luce affascinante dei deserti africani, i vapori tremolanti che salgono dalla terra e dai corpi arroventati dal sole, lo sguardo nerissimo e penetrante di zingare e beduini.Se questa è l’immagine più nota del pittore di Lovere, «cavaliere errante» in balia dell’esotica sirena del «Mal d’Africa», la bella mostra che gli dedica fino al 23 novembre lo Studio d’Arte Bertulezzi (via Camozzi 108), ripercorrendone il complesso itinerario artistico attraverso 32 splendide opere, ci invita a scoprire di Oprandi anche aspetti forse meno conosciuti. Non mancano certo le grandi distese desertiche, accese di polveri luminose o sfuocate dai vapori rosati del crepuscolo, punteggiate dagli esili profili di palme e minareti o dal cammino spossato dei beduini, tra cui l’importante dipinto della «Piana di Tessenei», esposto nel 1934 alla Mostra d’Arte Coloniale di Napoli. Così come si osservano le acque d’indaco del Nilo, gli occhi pieni di mistero di una fanciulla araba e quelli persi nel vuoto dell’«Arabo ferito». Ma se questi sono i dipinti che hanno fatto passare Oprandi alla storia come uno dei migliori pittori orientalisti italiani, quella «tenerezza estatica di eremita», quella quiete assoluta che, come sottolinea Fernando Rea nel bel catalogo che accompagna l’esposizione, rende unica la sua pittura africana, in realtà era per Oprandi il proprio personalissimo modo di osservare il mondo. La si ritrova così anche nelle nevi candide e soffici che stemperano i profili imperiosi dell’Adamello ne «La battaglia bianca», sorprendente dipinto del 1917, così come nelle nebbie azzurrate e negli argenti che velano di malinconia, nell’ultima produzione, gli angoli cari del suo Lago d’Iseo.

(16/11/03)

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