Nei collage la libertà di un «Raptus»

In contemporanea ad Esposizione universale, la Gamec presenta Raptus, un progetto site specific dell'artista Marcello Maloberti, nato nel 1966 e che vive e lavora a Milano. La mostra, curata da Alessandro Rabottini e parte di una serie in memoria di Arturo Toffetti, è la prima personale che un museo italiano dedica all'artista ed è accompagnata, grazie al contributo del Club Gamec, dalla più esaustiva monografia del suo lavoro (Damiani Editore), da sempre caratterizzato da un mix giocoso e bizzarro di diversi mezzi espressivi, dall'installazione alla performance, dalla fotografia alla scultura, dall'intervento urbano al collage, dal disegno al video.

Differenti strategie formali per rappresentare la quotidianità come regno del molteplice, dell'imprevedibile, del caos: «Un invito - spiega l'artista - a non cercare di gestire troppo le cose, lasciando che il caso faccia la sua parte. Di qui il titolo Raptus che non si riferisce a qualcosa di violento ma a uno scoppio improvviso di energia e creatività, all'idea di lavorare sul pensiero intuitivo, sui gesti istintivi e inattesi». Ecco perchè gran parte dei lavori esposti ruota intorno al dispositivo del collage, inteso non solo come tecnica ma, soprattutto, come operazione mentale: «Il collage - continua Maloberti - è il mio modo di pensare, perché capace di mettere in sinergia contemporaneamente cose, azioni e immagini diverse».

La pratica combinatoria si esercita anche sui disparati materiali con cui l'artista crea i suoi universi, elementi banali chiamati ad assumere nuova dignità formale ed estetica perché, dice l'artista «siamo noi a dare valore alle cose». Così, sulle pareti dello SpazioZero cadono a pioggia i collage realizzati con ritagli di giornali e riviste che l'artista avvita - e non incolla come nella tradizione del collage - sul supporto «perché siano forme libere e aperte - sottolinea - che restituiscano l'idea che tutto è un movimento interiore»: immagini di vita, morte, guerra, tenerezza, natura e gioco, si affastellano e sovrappongono, in una sorta di Teatro dell'Assurdo. Al centro della sala, la strada idealmente tracciata da un guard rail, attorno al quale una sinfonia di luci stroboscopiche, suoni e rumori spontanei evocano una festa on the road, prosegue idealmente nella grande foto che campeggia sulla parete di fondo, ironico autoritratto dell'artista che, come un gigante buono, solleva a mo' di bilanciere una tigre di porcellana. Nello spazio adiacente, un'altra «strada» è tracciata da una fila di coloratissimi accendini.

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