Ruggero Barbieri: «Don Spada, quanta saggezza»

Il maestro ricorda: ha segnato la mia vita, fu lui a indirizzare la mia carriera all’estero

Il «Concerto per Andrea Spada» vedrà il maestro Ruggero Barbieri sul podio della Czech National Symphony Orchestra. Al direttore bergamasco il compito di coordinare il prestigioso ensemble di Praga e i due giovani solisti che mercoledì sera, 7 dicembre, si alterneranno sul palco del Teatro Donizetti. Un percorso artistico e umano, quello di Ruggero Barbieri, che negli anni si è più volte intrecciato con quello di monsignor Spada.

«Avrò avuto dodici anni - ricorda Barbieri - e mi trovavo a Schilpario con la mia famiglia per le vacanze di Natale. Un pomeriggio, uscendo dalla Scuola elementare dove l’allora maestro e sindaco Mario Maj mi aveva concesso di mettere un pianoforte per il mio studio giornaliero, passando dalla piazza ho sentito il suono dell’organo della chiesa. La curiosità era troppa e decisi di entrare. Al magnifico "Serassi" sopra l’altare vidi soltanto, di spalle, l’imponente figura di un sacerdote. La musica era bellissima, si trattava del Primo Preludio dal Clavicembalo ben temperato di Bach. Lo ricordo così bene forse perché l’atmosfera era resa particolarmente magica dal presepe allestito in chiesa. Seppi solo più tardi che chi mi aveva tanto estasiato era monsignor Spada...».

Negli anni avete poi avuto modo di parlarvi di nuovo.

«Per mia fortuna sì e, anche se si trattava  sempre di incontri brevi, erano sempre pienidi significato. Solo poche parole, sguardi profondi e tanta, tanta saggezza. Ricordo per esempio come, alla fine degli anni ’80, quando avevo già fondato l’Orchestra "Città di Bergamo", monsignor Spada ebbe più volte a insistere sul fatto che dovessi farmi una più vasta esperienza all’estero: "Vai, vai per il mondo e poi, forse, ritorna...". È proprio l’immagine che ho di lui, quella di un uomo tanto cosmopolita quanto ancorato alle proprie tradizioni, che mi ha orientato nella scelta del programma che proporremo al Donizetti. In tre parole la "meraviglia" del Concierto de Aranjuez, la "passione" della Carmen Fantasy e il "trionfo" della Quinta di Cajkovskij. Definizioni che a mio giudizio si adattano alla perfezione a monsignor Spada».

Vogliamo ripercorrere i suoi inizi come direttore d’orchestra?

«Ricordo ancora con molta nitidezza i primi insegnamenti ricevuti al nostro Istituto musicale "Donizetti" da Emilio Suvini, allora docente di Esercitazioni orchestrali, e da László Spezzaferri. Grazie alla dinamica figura di quest’ultimo ebbi anche l’opportunità di dirigere alcuni saggi finali con il suo gruppo strumentale».

Lei ha frequentato anche un corso con Leonard Bernstein. Che cosa ricorda di lui?

«Ho avuto il grande onore di essere al suo fianco a Roma, in occasione di un corso e una serie di prove e concerti con la prestigiosa Orchestra di Santa Cecilia. Quello con il maestro statunitense è stato un incontro folgorante. Ciò che mi ha più colpito in lui sono stati la genialità, il talento e la passione».

Dall’Italia alla Spagna, con il maestro Aldo Ceccato di cui è stato assistente. Che ricordi ha?

«Il periodo che ho trascorso a Madrid con Ceccato, fra il ’90 e il ’95, ha costituito il momento più "alto" nella preparazione alla mia vita di direttore. La sua quasi fanatica dedizione verso la "Musica", il rigoroso studio della partitura e l’incessante approfondimento, elementi certamente ereditati dal grande Sergiu Celibidache, costituiscono l’essenza di ciò che ho imparato da un artista che considero uno dei miei modelli assoluti. Senza l’esperienza a fianco di Ceccato sarebbe stato quasi impensabile l’approdo a Manila».

Com’è arrivato a dirigere fino nelle Filippine?

«In modo molto semplice. A seguito di una segnalazione di cui sono venuto a conoscenza mi sono messo in contatto con il "Cultural Center of the Philippines", l’istituzione del governo che ha la funzione di coordinare le maggiori iniziative di tutta la nazione. Da lì è nata la possibilità di dirigere un paio di concerti con la "Philippine Philharmonic Orchestra" e, subito dopo, di diventare direttore stabile della stessa Ppo. Non nascondo il piacere di poter fare musica in una nazione asiatica, ma soprattutto la sorpresa nello scoprire un retaggio culturale di stampo europeo che deriva da più di tre secoli di dominazione spagnola».

Qual è l’approccio dei filippini verso l’ascolto della musica classica?«La sequenza degli eventi dal XVII secolo fino alla conclusione della Seconda guerra mondiale, non ha certamente favorito lo sviluppo di un’autonoma identità filippina. Se questo può essere considerato negativo da un lato, dall’altro può portare riscontri positivi soprattutto parlando di fruizione dell’arte in generale. Devo quindi sottolineare il grande interesse del pubblico filippino nell’ascoltare musica classica e opera lirica. Non scorderò mai il successo riscosso da opere come Madama Butterfly, Il trovatore, Don Giovanni e la prima esecuzione del Requiem di Giuseppe Verdi».

Un’esperienza chiusa quella con Manila?

«In quanto principale direttore ospite della Ppo e fondatore dell’International Music Festival of Intramuros (il quartiere spagnolo che ospita anche la più antica chiesa dell’intero arcipelago, ndr) sono regolarmente a Manila due, tre volte all’anno. Proprio poche ore dopo la conclusione del "Concerto per Andrea Spada" partirò per le Filippine dove dirigerò il tradizionale recital natalizio».

Come viene considerata la musica all’estero? Trova differenze con l’Italia?

«Credo che ci sia una differenza basilare tra culture "nordiche" e "latine". Mentre un atteggiamento più introspettivo e intimista ha portato le culture del Nord del mondo a sviluppare un linguaggio musicale meno immediato, la solarità latina persegue più il "momentum" che la "consuetudo". In altre parole, mentre in culture come la nostra la musica è considerata parte integrante della vita, altrove ne rappresenta soltanto un aspetto. A questo proposito vorrei ricordare quello che che mi disse Wolfgang Sawallisch a Tokyo, durante un summit fra direttori artistici di orchestre asiatiche. Il maestro tedesco mi parlò non solo di differenze fra le diverse culture a livello di continenti ma, e questo mi stupì molto, delle sue difficoltà nel dover escogitare nuove "alchimie" per attrarre l’attenzione delle nuove generazioni verso la musica classica. Come in quel di Philadelphia, dove era da poco diventato Music director dell’omonima Orchestra».

Qual è il repertorio che ama di più?

«Sono particolarmente attratto dal grande sinfonismo romantico e post romantico, non a caso ho concluso le mie due ultime stagioni a Manila con la Terza e l’Ottava Sinfonia di Mahler. Amo molto anche la lirica, a cui desidero dedicare sempre più energie».

Programmi per il futuro?

«Spero di riuscire ad ampliare la mia attività negli Stati Uniti e in Canada».

Che interpretazione dobbiamo aspettarci della Quinta di Cajkovskij?

«Tutte le volte che mi trovo ad affrontare il problema dello studio e dell’interpretazione di un brano, tornano inesorabili alla mia memoria gli insegnamenti che ho ricevuto da Alceo Galliera e da Mario Gusella. Entrambi sono sempre stati fedeli assertori della teoria secondo cui il direttore nel suo "interpretare" deve attenersi al testo che, se ben analizzato, è già sufficientemente eloquente. Pur con qualche eccezione, negli anni ho fatto mia questa convinzione. Il mio sforzo è quindi quello di avvicinarmi a ciò che l’autore intendeva esprimere».

Lei ha voluto due giovani come solisti della serata. Una scelta inconsueta, anche nei brani in programma.

«È vero, ma sia Yi-Jia Susanne Hou sia Giuliano Belotti hanno già calcato palcoscenici dei più importanti teatri del mondo. Sono certo che il loro talento, unito all’esperienza di un ensemble di fama internazionale come la Czech National Symphony Orchestra, contribuirà a rendere veramente unico questo concerto. Del resto vogliamo onorare la memoria di monsignor Spada che, nella sua essenza, è stato inarrivabile».

Andrea Spolti

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