Sperimentata la dialisi polmonare
Riduce mortalità e intubazioni

La tecnica è identica a quella renale e, se confermata su grandi numeri, consentirà di ridurre del 50% la mortalità dei pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva. Per la prima volta al mondo, alle Molinette di Torino e al Sant’Orsola di Bologna è stata sperimentata con successo la dialisi polmonare.

La tecnica è identica a quella renale e, se confermata su grandi numeri, consentirà di ridurre del 50% la mortalità dei pazienti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva. Per la prima volta al mondo, alle Molinette di Torino e al Sant’Orsola di Bologna è stata sperimentata con successo la dialisi polmonare.

Un metodo «da premio Nobel», come lo definisce il professor Marco Ranieri, direttore della Terapia intensiva universitaria delle Molinette, in grado di «cambiare la storia naturale» di una malattia destinata a diventare entro il 2015 la terza causa di morte più frequente nell’Occidente.

I risultati della sperimentazione, condotta su 25 pazienti, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista scientifica internazionale «Critical Care Medicine», organo ufficiale della Società americana di Terapia intensiva e Medicina Critica. «Si tratta di un sistema che, al pari della dialisi renale, permette di rimuovere, attraverso un ossigenatore e un emofiltro, parte dell’anidride carbonica dal sangue», spiega il professor Ranieri.

I pazienti che soffrono di broncopneumopatia cronica ostruttiva e giungono in pronto soccorso con grave difficoltà respiratoria, vengono trattati con la ventilazione non-invasiva, cioè con una maschera collegata ad un ventilatore meccanico che applica volumi di aria che rimuovono l’anidride carbonica da polmoni e riducono la fatica respiratoria. Nel 25%-50% dei casi, però, questo trattamento non è sufficiente e i malati hanno bisogno di essere intubati. In questi casi il rischio di morte aumenta fino a cento volte.

Il sistema mini-invasivo sperimentato a Torino e a Bologna, riduce il rischio di intubazione, dal 33% al 12%, e le conseguenze negative che ne derivano. La tecnica, infatti, “interrompe l’evoluzione letale della malattia», spiega il professor Ranieri, con il tasso di mortalità che passa dal 35% al 7%.

Una importante conoscenza scientifica, dunque, che ha risvolti positivi nella pratica clinica giornaliera. «Questo studio - sottolinea ancora il professor Ranieri - ha una portata straordinaria». E conferma «l’eccellenza della nostra ricerca universitaria - conclude l’assessore alla Sanità della Regione Piemonte, Antonio Saitta - applicata alla cura dei pazienti».

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