Vaccini, dopo 5 mesi e oltre 104 mila dosi chiudono i centri di Zogno e Sant’Omobono

Erano stati aperti lo scorso aprile dalla Asst Papa Giovanni, ora tornano ai Comuni.

Oltre 104 mila dosi di vaccino in quasi sei mesi, il 29% di tutte le somministrazioni effettuate negli hub vaccinali gestiti dall’Asst Papa Giovanni XXIII: 65.078 vaccini effettuati a Zogno e 39.766 a Sant’Omobono Terme. Per un totale di 104.844 somministrazioni. Dopo quasi sei mesi di attività – furono aperti il 12 aprile – chiuderanno a inizio ottobre i due centri vaccinali allestiti nei palazzetti dello sport di Zogno e Sant’Omobono Terme; prima, il 2 ottobre, quello valdimagnino, il 4 quello di Camanghè, accanto al bocciodromo e all’istituto superiore Turoldo. Entrambi alle 14, dopo la loro ultima giornata di vaccinazioni. «Entrambi gli hub vaccinali hanno operato per quasi tutta la campagna 7 giorni su 7, 12 ore al giorno – spiegano dall’Asst Papa Giovanni –. Sul totale delle 361.517 somministrazioni effettuate negli hub vaccinali gestiti dal Papa Giovanni, il 60% è stato effettuato alla Fiera di Bergamo, il 10% all’ospedale Papa Giovanni di Bergamo, il 18% al Centro vaccinale di Zogno e l’11% in quello di Sant’Omobono Imagna. Il 41% ha riguardato persone under 60, il 33% gli over 60, il 10% persone fragili e disabili, l’8% personale sanitario».

A questo sforzo organizzativo non si sono sottratti gli operatori dell’ospedale di Bergamo, dagli infermieri ai medici di molti reparti, già impegnati nella gestione dei pazienti Covid e non. Accanto a loro, medici di medicina generale, specializzandi, medici volontari in pensione e quelli reclutati da Regione Lombardia e dal bando nazionale. E poi i volontari delle associazioni, dell’Ana e della Protezione civile che hanno accolto gli utenti.

Lunedì a Zogno non erano molte le persone in coda: tutto ordinato e veloce, anche per i tanti che si sono presentati senza appuntamento perché rientranti nelle categorie a cui è concesso (nell’articolo alla pagina seguente ricordiamo quali). Arrivati anche da Bergamo e Trescore, raccontano le infermiere.

Dei sei box a disposizione e pensati per soddisfare 800 vaccinazioni al giorno, ormai da tempo sono più che sufficienti tre postazioni. «Domenica aspettavamo 80 persone, in realtà ne sono arrivate 180 – spiega Daniela Perletti, referente infermieristica del centro vaccinale –, anche tanti ragazzi». In questi mesi, qui nel palazzetto s’è vista anche commozione: «Molte persone si sono emozionale – aggiunge Perletti –, la loro era una scelta consapevole perché magari avevano avuto delle perdite importanti a causa del Covid». Ora invece il clima è diverso, è il momento dei «costretti a farlo», il vaccino.

Quattro tamponi

Alessandra Mazzoleni, 80 anni di Sedrina, un motivo certificato per presentarsi soltanto ora, ce l’ha: «Ho fatto il Covid tra febbraio e marzo – spiega, accompagnata dalla figlia –: mi ero riempita di macchie in viso, poi dolori ossei... Ho dovuto fare 4 tamponi, prima di diventare negativa». Dall’avvenuta guarigione al vaccino devono trascorrere sei mesi, e infatti Alessandra è qui, sotto l’occhio vigile anche di Valentino Sonzogni, con gilet fluorescente della Protezione civile addosso. «Siamo presenti in 4 in contemporanea, tre della Protezione civile e un volontario di un’altra associazione, ogni giorno da aprile – racconta –. Una settimana al mese ci danno il cambio gli uomini dell’Antincendio boschivo dell’alta valle e gli alpini di Zogno». Nei corridoi tra una fila di box e l’altra cammina Francesco Cervellera dell’associazione «Non solo sogni» di Zogno che si occupa di trasporto sociale e consegna dei pasti a domicilio. «A questo progetto partecipiamo in tre: diamo i nominativi al nostro coordinatore Claudio Sonzogni e lui fa i turni, alternandoci con gli alpini e la Protezione civile».

Linda Bonzi era coordinatrice infermieristica del blocco operatorio dell’ospedale di San Giovanni Bianco. «Ho avuto il Covid, scoperto l’8 marzo 2020 e ho deciso di cambiare – racconta –: sono qui dal primo giorno». Il dottor Antonino Puccio, presente lunedì insieme ai colleghi Tullio Bersani e Nicolò Avarello, entrambi medici in pensione, dice di avere preso questo nuovo servizio «come una missione: sono qui da maggio, prima anche in Fiera e a Sant’Omobono». Chirurgo maxillo facciale del Papa Giovanni, l’anno scorso ha invece lavorato nel reparto che lui chiama «Emato-Covid: Ematologia trasformata in reparto Covid e lì ho visto la gente morire, tanta, un’esperienza che mi ha segnato profondamente» e che ha anche raccontato in un diario poi pubblicato con il titolo «La vita, comunque».

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