Assolto il vino: colpevole solo chi beve troppo

Bisogna dirlo fuori dai denti, cari lettori: l’imputato portato ieri sera alla sbarra da Bergamo Scienza, Cesvi e Slowfood ha subìto un processo-farsa ed è stato assolto perché era appoggiato in alto, molto in alto. Il primo sospetto è sorto quando alle 18 in punto il dibattimento è stato aperto da un Cancelliere che ha presentato un teste dell’accusa, la signora Antonelli Margherita, come «ahinoi astemia». Subito dopo il Presidente del Tribunale, Tibaldi Ettore, ammetteva candidamente in premessa che non si trattava affatto di «un vero processo». Per dare un po’ di credito alla messa in scena l’imputato, senza che in realtà sussistesse alcun pericolo di fuga (per l’inquinamento delle prove e la reiterazione del reato passi) è stato trascinato in aula in catene e chiuso in gabbia come e peggio del peggior mafioso, sorvegliato a vista da due energumeni - giubbotto in pelle e occhiali neri - presentati al folto pubblico come «guardie enologiche». Era lì in due fattispecie, il vin meschino: uno squallidissimo tetrapak di provenienza presumibilmente scandinava, e un decanter finto-chic. Senza neppure il decoro della bottiglia, è stato trascinato di fronte alla Corte praticamente nudo: una vergogna! La Pubblica accusa, «nel rispetto dello spirito» del procedimento lo ha presentato come un tipo losco, dal «luogo di nascita non determinato» e inoltre «recidivo, di residenza ignota, senza fissa dimora». Fra i capi d’accusa un evidente «danno alla salute pubblica» e poi frode, sofisticazione, falsa testimonianza.Dopo pochi minuti però, con la scusa di un provvedimento umanitario, l’imputato è stato fatto uscire dalla gabbia ed è finito (ahg! ) sulla cattedra giudicante, a portata di bicchiere di un Cancelliere dall’aria sospetta: trattavasi di Casti Carlo, noto come Governatore di Slow Food Lombardia, gente che a tavola andrà piano con la forchetta ma di solito è piuttosto lesta di gomito. In fondo all’aula, infatti, un sommelier vestito di nero con il taste-vin al collo già stappava una bottiglia di «Colli etruschi viterbesi» per farle prendere ossigeno.Il primo teste, la Antonelli di cui sopra, ha raccontato di aver bevuto solo un dito di vino a sei anni e di essere quindi finita lunga distesa in un letto «per sette ore». Già questo episodio sarebbe bastato per invocare la legittima suspicione e chiedere che il dibattimento venisse immediatamente trasferito a Marsala. Poi però è saltato fuori che di nascosto la Antonelli, come il peggior alcolista, complice l’estate è usa da anni assumere dosi omeopatiche di vino (è l’ultimo stadio, come noto) diluendo gocce di prezioso Brunello in «quattro litri di Ferrarelle». Persino la pubblica accusa, l’avvocato Daniela Rubino, ha dovuto ammettere a quel punto che la sua testimonianza era divenuta inattendibile.Si è capito ancor meglio l’aria che tirava quando fra i testimoni della difesa è comparsa niente meno che Her Majesty Pia Berlucchi, «grande produttrice» dell’omonimo Metodo classico, che si è calata subito nella parte del leone: «Il vino si fa notoriamente con l’uva» ha sentenziato, giurando e spergiurando che viene raccolto a mano da amorevoli paysans , che «in aggiunta» i produttori non ci mettono altro che il loro amore e «storia, tradizione, cultura». La Berlucchi Pia ha addirittura assolto quel rubagalline del vino in tetrapak pur di riportare a casa indenne il suo principesco champenois ! Si è andati avanti cincischiando sulla qualità e la modica quantità, su persone «in fuga da se stesse e dalla realtà», sul pieno possesso delle facoltà mentali e sulla mancata sanzione sociale della ciucca, alzando un fumus persecutionis del tutto scenografico. Stefano Galliani, educatore della comunità Arcobaleno che recupera alcoldipendenti, ha provato a dire che «il vino è sostanza subdola: a 40 anni mostra deleteri effetti sulla salute» e a 60 «fa suonare la campana, che può essere definitiva», ma noti consumatori abituali in aula ridacchiavano.All’ora dell’happy hour la sentenza, già scritta: «In nome del popolo dei golosi» il vino è stato assolto «per insufficienza di prove» dall’accusa di procurato danno alla salute, e quanto al vulnus sociale «per non aver commesso il fatto»: secondo la Giuria popolare (universitari birraioli, si suppone) i delitti alcolici sono ascrivibili ai consumatori e non al consumato. L’imputato torna dunque libero, con uno spudorato grazie della Corte «a chi ha gentilmente offerto» il rinfresco finale. Lo stesso Presidente ha avvertito che all’uscita la giuria sarebbe dovuta passare per il metal-detector ma non dall’etilometro: vinosum ius, summa iniuria , cari cittadini. (09/10/2007)Carlo Dignola

© RIPRODUZIONE RISERVATA