«Sapori di Terù» in Borgo Palazzo
Quando l'ironia vince il pregiudizio

I pregiudizi si combattono con l'ironia. E l'humour può essere anche un'arma pubblicitaria: «Almeno lo spero, diciamo che ho voluto un po' esorcizzare questo luogo comune: è da quando sono arrivato qui, e sono tanti anni, che mi sento definire "terù". All'inizio mi dava un po' fastidio, anche se a dire il vero offeso non mi sono mai offeso. È la verità, io sono terrone. Così adesso ho pensato di usarla, questa parola, contro un pregiudizio. E per dimostrare che in fondo i bergamaschi quando dicono "terù" a un meridionale ormai non lo fanno per disprezzare o per razzismo».

Parola di Enzo Caratozzolo, 35 anni, calabrese doc di Gioia Tauro che da neo diplomato è approdato ad Albino (ora vive a Comun Nuovo) per seguire l'amore, e che da tre mesi ha aperto un negozio di alimentari (manco a dirlo calabresi), in via Borgo Palazzo. E ha pensato bene, Enzo, di chiamare il negozio «Sapori di Terù», con l'insegna corredata, nella classica iconografia meridionale, da peperoncini rossi e sagoma della Calabria.

Una provocazione, quel «Sapori di Terù», in una terra leghista che, per buona pace di Caratozzolo, non lesina certo in retorica antimeridionale? «Ma no, nessuna provocazione. Anche se, va detto, all'inizio sono stato parecchio criticato, soprattutto dai clienti meridionali (che dire, l'autoironia è una dote rara, ndr). "Ma che ti è venuto in mente?" mi dicevano alcuni. "Quel terù è un dispregiativo". Ora l'effetto polemico è passato, anzi sono aumentate le persone che mi dicono bravo, per aver contribuito in qualche modo a demolire i luoghi comuni che vogliono i bergamaschi un po' razzisti».

«Se devo dire la verità, è ben diverso il clima verso i meridionali ora in Bergamasca rispetto a quando, a 18 anni, arrivai io dal profondo Sud. Oggi io non vedo intolleranza né razzismo verso i meridionali. E allora quando ho deciso di avviare questa attività mi sono detto: perché non ironizzare su questa storia del terù? Tanto non è certo un'offesa, ormai».

Forse per Enzo è anche una rivincita: lui calabrese doc, che vende a chi gli diceva «terù» i prodotti della «Terronia». Aiutato da un bergamasco, Roberto Vavassori, ovvero il padre della sua ragazza, Petra, 25 anni. «Ho deciso di sostenerlo finanziariamente: una dimostrazione in più del fatto che i bergamaschi non ce l'hanno affatto con i "terroni" – scherza Vavassori –. Battuta a parte, è bello aiutare i giovani a lanciarsi nell'imprenditoria. Enzo ha ristrutturato il negozio tutto da solo».

Sorridente, e con piglio imprenditoriale, la fidanzata Petra («vengo qui ad aiutare Enzo, ma lavoro altrove: abbiamo investito parecchi soldi», spiega) s'infiamma nel descrivere le bontà che vengono dalla terra del suo Enzo. «Io ci sono stata in Calabria e mi sono resa conto che qui l'unica cosa nota di quella regione è la 'ndrangheta. Invece c'è un mare fantastico, resti archeologici strepitosi. E ovviamente il cibo».

Per le leccornie, «Sapori di Terù» lancia l'offerta del mese: regalare un prodotto a tutti i clienti che entrano in negozio. «Così possono assaggiare con comodo a casa quello che preferiscono». E poi tornare a soddisfare ogni desiderio gastronomico: dal «Terù» di via Borgo Palazzo si va dalla pasta di mandorle alla caratteristica 'nduja, una sorta di salame spalmabile. «Che è uno dei prodotti che va di più. I clienti? Non sono solo d'origine meridionale: tanti i bergamaschi doc».

Che l'idea del «Terù» abbia fatto centro? Di sicuro, ha fatto il bis, visto che in via Broseta, sempre a Bergamo, è comparsa anche l'insegna di una trattoria «Del terù». Ma in questo caso il titolare si è rifiutato di dare informazioni in più.
 Ca. T.

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