L'inquilino dà in escandescenze
Raccolta di firme per cacciarlo

Liti, gomme tagliate, auto danneggiate, dispetti, parolacce, insulti, minacce, botte, motorini rovesciati, bici sparite. «Vivere qui è diventato un inferno» dicono in molti,  nonostante la stragrande maggioranza dei residenti sia tranquilla e rispettosa.

Liti, gomme tagliate, auto danneggiate, dispetti, parolacce, insulti, minacce, botte, motorini rovesciati, bici sparite. «Vivere qui è diventato un inferno, nonostante la stragrande maggioranza dei residenti sia tranquilla e rispettosa - dice una giovane donna bergamasca -. Io ho già presentato domanda all'Aler per un altro alloggio». «Io purtroppo qui ci devo restare - allarga le braccia un boliviano - perché ho fatto il mutuo per comprare l'appartamento». Benvenuti nelle case popolari di via Mattioli, Longuelo, una decina di palazzoni in uno dei quartieri immobiliarmente più ambiti di Bergamo.

È qui che nella notte fra lunedì e martedì è scoppiato il putiferio, è qui che per ben tre volte sono dovute intervenire le forze dell'ordine. Protagonista A. B., siciliano di 54 anni, che risulta residente dall'altra parte della città, ma che qua viene di frequente per trovare la moglie e i due figli. E ogni volta che si ferma, accusano i vicini, sono liti da tinello con piatti che volano, pattume ritrovato in cortile, ma anche offese e minacce agli altri inquilini. L'uomo, che in passato ha scontato 9 anni per tentato omicidio e che è in cura al Centro psico-sociale di Monterosso, in meno di otto ore ha collezionato due arresti per resistenza a pubblico ufficiale, lesioni a tre carabinieri ed evasione. Ieri è stato processato per direttissima: dopo la convalida dell'arresto e il carcere disposto dal giudice, il processo è stato rinviato al 22 aprile.

Tutto comincia intorno alle 23 di lunedì, nell'appartamento al primo piano in cui vivono la moglie e i due figli di A. B. «Mio padre - racconta il figlio diciassettenne - era sul divano e ha sentito il vetro della porta-finestra della cucina andare in frantumi. È accorso ma non ha visto nessuno, già un mese fa mia madre si era trovata in casa i ladri. Doveva essere un malintenzionato che è poi fuggito, facendo precipitare la spazzatura di sotto». È lo stesso uomo che chiede a una vicina di chiamare i carabinieri. I militari non credono però alla versione di A. B. Le schegge di vetro sono sul balcone, come se la vetrata fosse stata rotta dall'interno. L'atteggiamento dei carabinieri fa innervosire e così scatta la colluttazione. I carabinieri chiamano rinforzi. Lui tira calci, sputa addosso a una donna maresciallo: risultato, tre militari riportano lesioni con prognosi dai 7 ai 10 giorni.

«Loro lo hanno preso, sbattuto contro il muro e, mentre lo ammanettavano, hanno acceso il gas del fornello e hanno accennato a spingergli sopra la faccia», accusa il figlio. «Mio marito è stato picchiato, è pieno di lividi e ha 3 giorni di prognosi - protesta la moglie -. Il vetro rotto da lui? Non è così fesso da romperlo se poi se lo deve pagare». L'arresto è abbastanza movimentato, condito da presunti episodi di autolesionismo. «L'ho visto che, mentre lo portavano via, sbatteva volontariamente la testa contro il muro per poi urlare che lo stavano picchiando. Sono pronto a testimoniare», giura un inquilino boliviano.

A. B. viene portato al comando, dove scatta l'arresto per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale. In attesa della direttissima viene messo ai domiciliari. Così alle 5 l'uomo viene riaccompagnato in via Mattioli. Poco dopo però si attacca ai campanelli dei vicini. «Ci ha rivolto insulti razzisti, accusandoci di non averlo aiutato quando i carabinieri lo portavano via - spiega una donna sudafricana che abita sotto la famiglia di A. B. -. Noi abbiamo preferito non rispondere, così s'è attaccato ai campanelli del portone accanto al nostro». Arriva la polizia, che riesce a calmarlo. Quando la moglie, alle 6,30, se ne va al lavoro, lui però torna in cortile a sbraitare. Interviene di nuovo la Volante e stavolta non va così liscia. A. B. se la prende coi vicini scesi sotto casa. Minaccia il boliviano che abita nella scala a fianco, rifila un ceffone al marito della sudafricana (un quarantenne del Burkina Faso), oppone resistenza ai poliziotti. Che lo arrestano, scoprendo che l'uomo era già stato arrestato poche ore prima ed era in attesa di processo: così scatta anche l'accusa di evasione.

«Una serie di disguidi: tutto qui - ha minimizzato lui ieri in aula -. Non sono evaso, ero sul portone. Ho cattivi rapporti coi vicini di mia moglie, e c'è stato un disguido con loro. Non ricordo poi se ho minacciato gli agenti, ma non mi sembra». Ora gli altri inquilini stanno organizzando una raccolta di firme da presentare all'Aler perché la famiglia, trasferitasi in via Mattioli da poco più di due anni, se ne vada. «Minaccia anche i bimbi che giocano in cortile - racconta una donna italiana -. A mia figlia di 4 anni lo scorso anno ha rifilato un colpo sul collo con una catena. L'ho denunciato». «Mio padre non se la prende con i piccoli - ribatte il figlio di A. B. -. Non ha colpito la bimba, in quell'occasione stava litigando col marito marocchino della signora che aveva minacciato mio fratello». «Ci minaccia di morte - dice la stessa vicina - e noi abbiamo paura, perché è un tipo che non si limita alle parole. Tant'è che è già finito in cella per tentato omicidio».

A. B. è sospettato anche di atti vandalici contro vetture e motorini parcheggiati. «Da novembre - racconta la donna che abita al piano di sopra - la mia auto ci ha rimesso 4 ruote: tutte tagliate di notte». «Sono i vicini che provocano mio padre - puntualizza il figlio di A. B. -. A noi è stata rubata una bici nella cantina comune. E, guarda caso, la porta dopo il furto è stata trovata chiusa a chiave. Chi l'ha fatta sparire è uno del palazzo. Ma noi non abbiamo denunciato».

T.T.

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